Ho letto con grande interesse ed attenzione l’articolo “Alta Velocità, export, festival. La nuova Italia che attrae” di Dario Di Vico, comparso domenica 17 settembre sul Corriere della Sera, e mi soffermo, in particolare, su un tema, quello dell’alta velocità ferroviaria a cui, insieme a Lorenzo Necci, penso di aver dedicato una parte significativa del mio impegno professionale e, al tempo stesso, credo, insieme ai colleghi della Società TAV, di essere riuscito a trasformare una intuizione programmatica e concettuale in una infrastruttura concreta.
Dario Di Vico nel paragrafo dedicato alle infrastrutture ricorda: “i treni veloci hanno ridisegnato le relazioni tra Torino e Milano – supplendo a quanto i progetti MI – TO non erano riusciti a determinare – e l’intera dorsale che sempre da Milano porta a Napoli. La mobilità celere tra le città ha inciso sulle professioni terziarie rimodellando i mercati del lavoro pregiato e l’esempio di Reggio Emilia Mediopadana che ha ottenuto la fermata intermedia ha generato più tentativi di imitazione di quelli subiti dalla Settimana Enigmistica”; mentre nel paragrafo dedicato alle città Di Vico precisa: “Qualcuno le vedeva morte e c’è stata anche una fase in cui i residenti fuggivano. Si preferiva usarle ma vivere a debita distanza. In fondo erano solo una fabbrica di servizi, necessari ma costosi. Le città però hanno risposto allungandosi, alcune diventando delle piccole regioni, altre grazie all’alta velocità rafforzando i legami di prossimità”
Ebbene, questi apprezzamenti oggettivi, questo misurabile successo ha subito in passato, purtroppo anche dalla stampa, una folle opposizione che oggi abbiamo dimenticato. Lo abbiamo dimenticato ed oggi per quasi il 70% l’opera è finita grazie alla testardaggine di chi sin dall’inizio ha creduto nella strategia dell’intervento. Non si trattava di un semplice quadruplicamento ferroviario, ma di un cordone ombelicale che con mille chilometri riusciva a rispondere alle esigenze di mobilità di oltre 12 milioni di abitanti, di un sistema trasportistico che offriva al mondo un patrimonio artistico e archeologico ubicato in tre realtà urbane quelle di Napoli, Roma e Firenze attraverso collegamenti di tipo metropolitano, cioè in soli 60 – 70 minuti, di una modalità che cambiava le modalità insediative e del tempo libero per coloro che vivevano a Torino, a Milano, a Venezia e a Bologna. Oggi Di Vico ci regala un simile apprezzamento, oggi il nostro Paese offre all’Europa questa ricchezza infrastrutturale e questa grande evoluzione tecnologica, ma negli anni ’90 c’è stata una vera opposizione al progetto, sia da parte di coloro che hanno indossato in modo scorretto la veste dell’ambientalismo e hanno cercato di costruire veri schieramenti politici, sia da parte di molti che in modo camaleontico oggi rivestono ruoli istituzionali e testimoniano la validità del progetto pur avendolo, in passato, ostacolato in tutti i modi.
Concludo queste mie considerazioni citando un altro dato riportato da Di Vico: il peso del Prodotto Interno Lordo generato dalle sole due città di Roma e Milano è pari al 10%. Sarebbe opportuno meditare un poco su tale dato e su come una ottimizzazione delle relazioni legate alle attività terziarie possa amplificare ulteriormente una simile dimensione economica;
Queste precisazioni per evidenziare come spesso si ritiene l’intervento della rete ad alta velocità un intervento costoso, un intervento privo di adeguate motivazioni economiche, rischiando così di cadere nella facile logica dei denigratori, nella facile abitudine di gestire il dissenso solo per motivare la propria esistenza.