Riporto di seguito i titoli di alcuni giornali apparsi il giorno 5 ottobre scorso:
Il Sole 24 Ore
- In Gazzetta Ufficiale il DPCM investimenti da 46 miliardi, risorse subito impegnabili”
- Incognita tempi sul Piano dell’ANAS da 29,5 miliardi
Corriere della Sera
- Il Piano ANAS investimenti da 29 miliardi in 5 anni
Italia Oggi
- ANAS, sul piatto 23,4 miliardi (2016 – 2020)
Economy: Intervista al Ministro Delrio
- Dichiarazione del Ministro Delrio “Il mio impegno: chiudere lo spread logistico. Il nostro piano “Connettere l’Italia” prevede 108 nuove opere e 112 miliardi di investimenti coperti al 76%”
Corriere Adriatico
- Si a mezzo miliardo per la Fano – Grosseto
Due sono le osservazioni che vorrei sollevare: una in merito al Piano Connettere l’Italia; l’altro sulla dimensione finanziaria del piano, la sua struttura di finanziamento e gli obiettivi anche temporali che si intendono perseguire.
- Sul Piano: alla fine di un lungo balletto tra strumenti di programmazione (Piano Generale dei Trasporti, Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, Allegati al DEF, fino al 2015, e di nuovo Piano Generale dei Trasporti e della Logistica), il bisogno di infrastrutture è sempre lo stesso. Lo stesso nuovo codice appalti infatti, afferma che, fino all’adozione di nuovi strumenti di programmazione, il piano delle infrastrutture strategiche è quello disegnato nel 2015 dalla Legge Obiettivo approvato con delibera CIPE 26 del 2014.
Quindi le 108 opere, non sono nuove, ma si tratta di un nuovo fabbisogno finanziario di 112 miliardi di euro, soprattutto, considerato alla luce della costanza degli oggetti di investimento. È evidente che il rallentamento nell’avvio e nell’esecuzione dei lavori , voluti da un atto irresponsabile di stravolgimento del nuovo codice appalti, ha già determinato un incremento dei costi.
- Sulle risorse: la Legge di Stabilità per il 2016, l’ultima che articolava i finanziamenti in conto competenza ed in conto cassa, prevedeva, in un arco temporale al massimo fino al 2024, risorse per 31.145.774.300 euro; questa cifra va confrontata con i dati forniti dal Ministro Del Rio pari a 47 miliardi di euro fino al 2032. Coscienti del fatto che in materia di finanza pubblica nulla si crea e nulla si distrugge, risulta evidente che il differenziale tra le disponibilità al 2016 e quelle al 2018 è pari a “solo” 15 miliardi che proiettati dal 2018 al 2032, ben 14 anni, fanno poco più di un miliardo di cassa l’anno, quanto cioè si rende necessario per il pagamento della manutenzione della “sola” rete ferroviaria o delle “sole” strade in capo ad ANAS. Di contro la progressione di disponibilità di cassa e di competenza prevista fino alla Legge di Stabilità per il 2016, era di 2.858.830.608 € per il 2016, 3.330.028.197 € per il 2017, 4.933.540.000 € per il 2018.
Appare pertanto evidente che la manovra finanziaria dello Stato, che ormai avviene solo “per cassa”, cioè solo a valle di certezze finanziarie previste in appositi cronoprogrammi, attraverso l’analisi dei quali è possibile evincere la “reale disponibilità delle risorse garantite dal Ministero dell’Economia e delle Finanze”, ha rappresentato la più grande operazione di spending review di qualunque Paese occidentale nell’era moderna.
Ed allora entriamo nel merito delle disponibilità reali di “cassa” per il 2017, 2018, 2019:
- 2017: dei 1.166 milioni di € di cui per interventi in infrastrutture stradali, ferroviarie nazionali e locali, ecc. la cassa per le infrastrutture è solo di 285 milioni di €
- 2018: dei 2.762 milioni di € di cui per interventi in infrastrutture stradali, ferroviarie nazionali e locali, ecc. la cassa per le infrastrutture è solo 806 milioni di €
- 2019: dei 3.160 milioni di € di cui per interventi in infrastrutture stradali, ferroviarie nazionali e locali, ecc. . la cassa è solo di 875 milioni di €
Quindi mi domando: perché l’attuale Governo, l’attuale Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, l’attuale Ministro dall’Economia e delle Finanze, l’attuale Ministro dello Sviluppo Economico non raccontano semplicemente la verità al Paese ammettendo che: lo sviluppo degli investimenti, pur essendo una politica attesa e collaudata per gli incrementi della ricchezza nazionale, non è più lo strumento principe dello sviluppo. Non è più il “volano” della ricchezza nazionale.
La regressione infrastrutturale è ormai lo scenario verso cui siamo orientati, insieme all’iniquità territoriale ed alla sperequazione della rendita prodotta da investimenti pubblici.
Spero di essere smentito, ma, in caso contrario, sono convinto che questi annunci regalino solo consenso a quei movimenti politici che crescono proprio utilizzando queste forme imperdonabili di impegno teorico.
Purtroppo penso che sarà difficile smentirmi e questa certezza è supportata da un dato: in tre anni (2015, 2016, 2017) ci sono stati solo quattro o cinque CIPE; in passato la media era di sei – sette CIPE all’anno. Tenuto conto che i CIPE sono il momento obbligato per approvare investimenti, per passare dalla intuizione progettuale all’avvio concreto delle opere.