È POSSIBILE ANNULLARE LA MARGINALITÀ DELLE NOSTRE PERIFERIE

 

Più volte ho ricordato che la misura, in termini di tempo, della distanza tra due realtà urbane o tra una area periferica e il centro di una città non è legato al tempo impegnato da un mezzo di trasporto ma dal tempo che intercorre tra la esigenza di un determinato utente di raggiungere da un punto periferico della città un’area centrale della stessa.

Questa banale considerazione denuncia, quindi, che la distanza reale è data dalla frequenza con cui quella determinata area della città è servita da mezzi di trasporto pubblici. Allora si comprende che il primo atto che recupera concretamente le condizioni di marginalità di ciò che definiamo “periferia” è proprio la capacità di assicurare un collegamento sistematico e frequente.

Pensare di recuperare le aree urbane periferiche ribadendo la gratuita frase: “bisogna ricreare tanti centri nelle periferie” oppure “il cittadino deve poter riconoscere nella periferia i connotati propri della città nella sua interezza funzionale”, rimangono solo frasi inutili.

Il centro di una grande o di una piccola città rimane un riferimento difficilmente ricreabile e, quindi, è inutile porre obiettivi irraggiungibili nella riqualificazione di un ambito urbano. Per cui il collegamento efficiente e possibilmente ad elevata frequenza diventa la prima vera condizione per ridimensionare, in modo sostanziale, la marginalità vissuta dai cittadini di aree periferiche. Faccio in proposito un esempio: gli abitanti delle aree periferiche di Roma come quelle di Graniti, Finocchio, Giardinetti, Torre Spaccata, Parco di Centocelle, Pigneto, per accedere all’area centrale della città di Roma, cioè per sentirsi cittadini romani, impiegavano fino a tre anni fa, nel migliore dei casi, da un’ora a due ore e disponevano di mezzi di trasporto pubblici che garantivano una frequenza di venti – trenta minuti; oggi con la Linea metropolitana C impiegano nel peggiore dei casi quindici – venti minuti e, soprattutto il servizio offerto assicura una frequenza, nel peggiore dei casi, di cinque minuti. Questo, a mio avviso, costituisce il primo atto strategico per riportare le periferie, anche quelle più lontane dal centro, all’interno del mosaico socio economico che definiamo città.

Un secondo atto è quello relativo alla caratterizzazione delle fermate, alla caratterizzazione dei capo linea del servizio pubblico; questi siti devono diventare veri nodi di interesse con adeguati supporti e con adeguati accorgimenti architettonici capaci di annullare il degrado diffuso delle aree periferiche. Nodi che devono trasformare un luogo di attesa in occasione di incontro sistematico, devono trasformare un luogo di attesa in presidio capace di assicurare una sicurezza sistematica. I nodi stazione delle metropolitane di ultima realizzazione come la stessa linea C di Roma già offrono questa qualità architettonica e nel caso della metropolitana di Brescia ci sono anche spazi attrezzati per acquisto di prodotti alimentari. Per le linee di bus invece proprio nelle periferie bisogna sforzarsi di progettare e realizzare aree di attesa che anche se distanti chilometri dal centro offrano sensazioni di “continuità urbana”.

Un ulteriore atto è quello legato alla qualità dei mezzi di trasporto pubblico; prima ho pensato alla frequenza e alla qualità strutturale dei nodi di interscambio, ora ritengo che la qualità del mezzo rappresenti un’altra occasione per produrre una vera fidelizzazione di chi abita in periferia alla città in cui si vive e trovare, salendo su un mezzo pubblico, dei segni che offrono immediate colleganze con la immagine della propria città.

Un ultimo atto è quello relativo al costo dei collegamenti; per realtà urbane con un numero di abitanti superiore a 100.000 unità consentire un abbattimento del 50% del costo degli abbonamenti (già allo stato molto contenuti). Questa scelta non ha una finalità spiccatamente populista ma risponde ad una precisa finalità di riequilibrio funzionale di ciò che possiamo giustamente definire un tentativo di rendere omogenee le condizioni di uso, di fruizione di ciò che, come già ricordato in un precedente blog, Max Weber, oltre 170 anni fa, definiva città: ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio economiche. Una definizione che oggi non si addice a nessuna delle nostre realtà urbane.

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