Siamo ormai in campagna elettorale e le prime indicazioni programmatiche prodotte dai vari partiti hanno tutte un comune denominatore: gli impegni e le azioni da definire nei primi cento giorni di Legislattura. Questo approccio è sicuramente apprezzabile perché testimonia la volontà di avviare subito iniziative capaci di incidere nel breve periodo sui processi socio economici del Paese. Questa caratteristica comune testimonia però una chiara preoccupazione, direi paura, da parte dei partiti nel cercare di denunciare la volontà di “fare” davvero, di dare concretezza a programmi che annunciati spesso rimangono disegni teorici. Denunciare, quindi, il programma dei primi cento giorni è, un tentativo per recuperare credibilità e, soprattutto, per convincere gli elettori che potranno misurare i risultati raggiunti dal Governo in un arco temporale di soli cento giorni.
Ad una più attenta analisi, però, scopriamo che, in fondo, i programmi di medio e lungo periodo non sono amati dai Governi e ciò perché l’arco temporale di attuazione e così lungo da non consentire alcun vantaggio diretto per un organismo che nel migliore dei casi ha una vita non superiore ai cinque anni, ma soprattutto, perché, stranamente i programmi strategici di lungo periodo non trovano particolare interesse e consenso nell’elettorato.
Questo è senza dubbio un grave limite, nel campo delle infrastrutture, poiché, le iniziative ed i progetti che cambiano davvero l’assetto funzionale di un Paese necessariamente devono avere un respiro temporale lungo. La mia generazione gode dei vantaggi generati da scelte operate da generazioni lontane nel tempo, da generazioni che hanno avuto il coraggio di disegnare scenari che in molti casi sarebbero stati vissuti da altri.
Un nuovo valico stradale o ferroviario lungo più di 50 Km non può essere completato in un arco temporale inferiore ai dieci – quindici anni; una rete metropolitana lunga venti chilometri non può essere completata in soli dieci anni, un grande impianto portuale o aeroportuale non può diventare operativo in soli cinque anni. Negli anni passati una visione di lungo periodo, sempre nel campo delle infrastrutture e dei trasporti, è stata vissuta prima nel 1984 con lo strumento del Piano Generale dei Trasporti che ha reso possibile il disegno programmatico di opere come i nuovi valichi ferroviari del Brennero e del tratto Torino – Lione, come la rete ad alta velocità, come il sistema autostradale e quello di alcune reti metropolitane, come alcuni grandi scali aeroportuali ed interportuali.
E stato poi nuovamente dato spazio a proposte programmatiche di medio e lungo periodo nel 2001 con la Legge Obiettivo in cui è stato definito un Programma delle Infrastrutture Strategiche che da un lato ha portato a termine scelte definite già dal Piano Generale dei Trasporti e dall’altro ha posto le basi per dare garanzia finanziaria anche ad interventi non legati ai vincoli temporali imposti dalle Leggi di Stabilità annuali. Il vero elemento innovativo e, al tempo stesso, più difficile dei processi programmatici di lungo periodo è proprio la garanzia nel tempo della disponibilità delle risorse. Nel caso della Legge Obiettivo per superare un simile vincolo temporale si fece ricorso ad una apposita norma, quella definita dei “lotti costruttivi”, con questa norma è stato possibile dare continuità ad alcune opere dell’asse ferroviario ad alta velocità. Tale procedura suddivideva in fasi realizzative l’intero intervento e quindi rendeva possibile l’accesso a coperture finanziarie più limitate, tuttavia è necessario superare questo vincolo legato alla copertura pluriennale delle opere che per dimensione e complessità hanno una fase realizzativa non coerente con i vincoli tipici delle nostre Leggi di spesa. L’assenza di programmi e progetti nuovi è d’altra parte testimoniata da quanto fatto dai tre Governi di questa Legislatura ormai agli sgoccioli: tutte le opere approvate dal CIPE e avviate a realizzazione sono quelle definite dalla Legge Obiettivo e per ognuna di esse si è dovuto assicurare l’apposita copertura finanziaria. Di fatto non c’è stato in questo passato quinquennio nessuno sforzo programmatico, nessuna aggiunta strategica nel processo di infrastrutturazione organica del Paese. Salta agli occhi come gli annunci di potenziali coperture avanzate proprio ultimamente vanno interpretate come “dichiarazioni programmatiche” e non vi è nessuna certezza finanziaria.
Per questo presupposto l’unico strumento capace di superare un simile vincolo sostanziale, un vincolo vissuto sistematicamente ad esempio per la realizzazione dei nuovi valichi ferroviari, dovrebbe essere la costituzione di un Fondo Rotativo, strumento che nel 2003 fu creato presso la Cassa Depositi e Prestiti e definito Fondo Rotativo Opere Pubbliche (FROP) con una dotazione iniziale di circa 800 milioni di €, ma che per una serie di motivi il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha mai ritenuto opportuno utilizzare e, annualmente, tali risorse vengono cannibalizzate per altre finalità. Con apposita norma il nuovo Fondo riuscirebbe, come avviene in molti Stati della Unione Europea, ad ottenere annualmente una ricarica sistematica di risorse pari ad una percentuale fissa del Prodotto Interno Lordo, sarebbe sufficiente una quota minima del 3% del PIL per consentire un volano fisso di circa 5 miliardi di €.
Un simile Fondo disponendo di risorse certe renderebbe possibile anche un diretto coinvolgimento di capitali privati attraverso appositi project financing; il privato, infatti, avrebbe, finalmente certezza sulla copertura finanziaria dell’opera nel tempo. La forza del Fondo va anche riscontrata nella sua caratteristica di “rotativo”, cioè di Fondo che, nel tempo anche lungo, recupera i ritorni di investimento generati dagli investimenti nel comparto delle infrastrutture. Sicuramente una simile proposta non sarebbe condivisa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze perché l’automatismo annuale per legge della ricarica del Fondo annullerebbe il ruolo di programmatore unico di ogni scelta nel comparto delle infrastrutture, ma questa, a mio avviso, è una anomalia istituzionale da superare se si vuole dare snellezza procedurale e realizzativa a ciò che, a tutti gli effetti, è un processo di modernizzazione del Paese.
Quindi sarebbe opportuno che, il prossimo Governo e il prossimo Parlamento si soffermassero di più su scelte ambiziose, forse anche difficili, ma necessarie poiché la crescita di un Paese la si ottiene solo disegnando scenari coerenti alle evoluzioni di politiche economiche che superano la dimensione nazionale. In proposito è sufficiente un esempio la Cina ha scoperto l’accesso nei mercati europei attraverso modalità di trasporto terrestri, chiediamoci come stiamo rispondendo come Italia e come Unione Europea sia in termini di organizzazione territoriale dei centri intermodali terrestri, sia come reinvenzione della nostra offerta portuale. La risposta a questo interrogativo non può avvenire nel breve periodo, ma può verificarsi solo disegnando una azione strategica di medio e lungo periodo.
Forse sarebbe opportuno predisporre dei corsi formativi per chiunque vinca le elezioni.
Qui siamo al circo, non basta più dare consigli bisogna obbligare a studiare altrimenti si rischia un’altra legislatura come quella appena estinta
E non è detto che vinca il peggiore…
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