Nell’inserto “Economia” del Corriere della Sera del 12 febbraio scorso, Isidoro Trovato riporta alcuni dati che testimoniano ancora una volta la dimensione delle attività logistiche nel nostro Paese. Il settore vale 110 miliardi di € e incide per oltre il 7% del PIL; ma la parte dell’articolo che ritengo più interessante è quella in cui si specifica: “Oggi la logistica deve essere valutata non solo sotto il profilo delle quantità movimentate, ma sotto quello del valore stesso delle attività, che spesso costituiscono una parte rilevante del valore della merce”.
Questo approccio, negli anni passati, è stato più volte ribadito negli “Allegati Infrastrutture alla Legge di Stabilità” ed in modo particolare, nell’Allegato Infrastrutture del 2011, si è denunciato chiaramente quale era il danno prodotto al comparto della logistica non utilizzando come indicatore la quantità delle merci movimentata ma il loro valore. In base alla produzione industriale del 2011, pari a circa 930 miliardi di €, abbiamo potuto verificare che la incidenza del costo del trasporto e delle attività legate alla logistica sul valore del trasportato si aggirava in Italia tra il 18% ed il 20%, mentre negli altri Paesi della Unione Europea si attestava su un valore non superiore al 12%. Questo gap variabile tra il 6% e l’8% metteva in evidenza, in valore assoluto, un importo di circa 56 – 60 miliardi di €. Tutto quanto detto ed analizzato oltre a mettere a serio rischio la competitività dei nostri player nel comparto della logistica, riduceva in modo sostanziale i possibili margini delle aziende italiane impegnate nell’intero sistema.
Erano state prese in esame già all’epoca le cause di un simile grave danno per la economia del nostro Paese ed era stato possibile appurare che i punti critici erano legati proprio alla carenza della offerta infrastrutturale ed in modo particolare alla serie di vincoli nei transiti alpini, alla gestione dei nostri HUB logistici (porti, interporti, aeroporti).
Come già sostenuto prima per rimanere sul mercato ed essere competitivi le nostre aziende avevano anche ridimensionato i loro possibili margini, ma questa disponibilità non ha evitato e non evita una condizione rischiosa: l’assenza di una convenienza diretta porta automaticamente ad una vendita sistematica di aziende italiane ad organismi stranieri, per cui quella incidenza prima richiamata della logistica sul Prodotto Interno Lordo pari al 7%, pari cioè a 110 miliardi di €, si trasformerà, nell’arco dei prossimi anni, in Prodotto Esterno Lordo.
Ancora più preoccupante è il dato relativo al valore dell’export nei primi nove mesi del 2017 pari a 331 miliardi e se esaminiamo il ruolo svolto dalle attività logistiche scopriamo che queste rappresentano la condizione vincolante per il buon esito delle attività legate alla esportazione dei vari prodotti, in particolare mi riferisco a tutti i passaggi che caratterizzano l’intero ciclo che va dal lancio del prodotto nel mercato alla organizzazione dei siti per lo stoccaggio e la manipolazione delle merci, al packaging, ecc. Tutto questo testimonia come, in assenza di una logistica efficace ed efficiente, crolli davvero l’intero volume dell’export. Questa presa di coscienza che, come detto, non è legata alla quantità delle merci, ma al valore delle stesse, impone con la massima urgenza una vera rivoluzione culturale nell’intero sistema produttivo del Paese.
Il rapporto tra produzione e inserimento della stessa nei teatri del mercato nazionale ed internazionale non può essere più seguito con un banale approccio trasportistico, con i canoni tipici del rapporto domanda – offerta, ma necessita di una rivisitazione sostanziale di tutti i momenti che compongono l’intero processo che porta il prodotto al consumatore finale. Un processo definito “supply chain management” che riconosce ormai insufficiente l’integrazione limitata all’interno della azienda. Oggi è diventato necessario e indispensabile il coinvolgimento anche della rete di imprese che si trovano a monte e a valle nei processi e nelle attività che producono valore in termini di prodotti e servizi al consumatore finale.
Questa non è una rivisitazione del concetto di “logistica” ma è a tutti gli effetti un nuovo momento vincolante la crescita e lo sviluppo del sistema produttivo del Paese; siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa dopo la Germania, siamo nei primi cinque – sei posti al mondo, non possiamo permetterci il lusso di sottovalutare proprio una funzione vincolante per mantenere questa invidiabile posizione; dobbiamo essere molto attenti perché una sottovalutazione o un errore strategico non ci fa perdere questa posizione invidiabile ma, addirittura, ci toglie, in modo irreversibile, da questa collocazione privilegiata.
Queste considerazioni e in particolare il danno che annualmente grava sull’intero comparto pari a circa 60 miliardi di € ci fanno capire quanto possa essere miope e lento sia il nostro atteggiamento nel portare a completamento il sistema dei valichi lungo i quali in soli 40 anni la quantità di tonnellate di merce annuale è passata da 20 milioni a 150 milioni di tonnellate, ma ancora più grave dove il valore delle merci si è praticamente decuplicato, ci fanno capire quanto sia assurda la assenza di piastre logistiche efficienti e in grado di fornire risposte coerenti alle esigenze della nuova domanda, alle esigenze del nuovo mercato, ci fanno capire quanto sia immotivata la lentezza con cui si realizzano le reti ferroviarie portanti del Paese, ci fanno capire quanto sia inconcludente la politica di ristrutturazione funzionale della mobilità nelle nostre aree metropolitane.
Non vi è dubbio che la dimensione finanziaria ci faccia capire molto di più di quanto per anni ci ha detto la dimensione quantitativa e, al tempo stesso, annulla i ricorrenti pregiudizi di chi invoca il “project review” per contenere la dimensione degli investimenti in infrastrutture dimenticando che ogni mese di ritardo nell’avvio concreto delle opere produce un danno diretto pari a un dodicesimo di circa 60 miliardi di €, cioè 5 miliardi di €.