Da almeno quattro anni l’unico elemento positivo è il dato legato alla crescita della produzione industriale, alla crescita degli indicatori legati alle attività di import – export, alla crescita della movimentazione delle merci. Oltre questi segnali, positivi per il mondo imprenditoriale, noi viviamo non più in recessione, ma in “stagnazione”, e non in una stagnazione di tipo economico, ma politico e istituzionale. Gli analisti sicuramente non saranno d’accordo poiché affermeranno che, al contrario, in questi quattro anni il nostro Paese ha assistito ad una lunga sequela di eventi politico – istituzionali, come:
- Il referendum sulla riforma costituzionale
- Il passaggio dal Governo di Enrico Letta a quello di Matteo Renzi con una procedura parlamentare quanto meno discutibile
- Il patto del Nazareno legato alle riforme costituzionali ma nei fatti un itinerario simile ad un compromesso storico
- Una legge elettorale approvata per decreto legge e poi ritenuta incostituzionale dalla Consulta
- Una vera rivoluzione nella formazione dei Gruppi all’interno del Senato e della Camera dei Deputati, oltre 500 cambiamenti di schieramento
- La scissione di un Partito storico come il Partito Democratico
- La Legge 56 sulle disposizioni relative alle città metropolitane, alle province, alle unioni e fusioni di comuni
- La miriade di patti e di convenzioni e di contratti con gli Enti Locali (Regioni e Comuni) e con i grandi Enti come le Ferrovie dello Stato e l’ANAS
Si potrebbe continuare ad elencare la serie di eventi e di itinerari parlamentari che hanno caratterizzato una intera Legislatura, ma sono chiaramente sufficienti questi per poter apprezzare, quanto meno, la rilevanza di tali eventi per il nostro Paese. Al tempo stesso, già da questi esempi, si percepisce come tutto questo, abbia conseguentemente prodotto come risultato finale, una misurabile stagnazione politico – istituzionale. Vale a dire che alla fine della Legislatura si è prodotta una inattuabile forma di Governo e, ancora peggio, si è giunti al punto di non essere in grado di leggere un possibile scenario istituzionale. In realtà tutto è possibile, abbiamo scenari che, come ci insegna la matematica, si basano sulla ipotesi di un accordo di due schieramenti su tre e in conclusione questi accordi consentirebbero e consentono tre possibili forme di maggioranza, tutto questo testimonia indubbiamente, ancora una volta, l’assenza di un possibile schieramento vincente. Sorge, per questi motivi, spontaneo un interrogativo: perché ci siamo avviati verso questa assurda sclerosi politico – istituzionale e chi ha consentito e, purtroppo, consente il prolungarsi, senza alcuna ipotesi di cambiamento, di una stagnazione sempre più patologica? Senza dubbio una risposta può essere legata alla crisi generazionale: da oltre venti anni è iniziata una crisi strutturale della dialettica politica, una scomparsa della organizzazione partitica, un crollo delle caratterizzazioni ideologiche, un crollo della fidelizzazione tipica dei vari schieramenti politici a partire dal dopo guerra. Tutte risposte valide ma chiaramente non sufficienti a giustificare un fenomeno che, proprio in questi giorni, sta mettendo in evidenza tutte le incongruenze tipiche di una vera crisi irreversibile dei canoni strutturali che per settanta anni hanno caratterizzato gli assetti politici ed istituzionali del Paese.
Si giunge in questo modo all’unica conclusione possibile che la responsabilità non è da ricercarsi nei movimenti di Salvini e di Grillo, ma nel cambiamento del Partito Democratico italiano: la politica, diceva Braudel, rispetta in pieno la teoria dei vasi comunicanti e quando finisce una corrente di pensiero se ne riempie subito una seconda, una terza, una quarta, ecc. Si è esaurita la corrente di pensiero che aveva, dal dopo guerra ad oggi, supportato il Partito Democratico e si sono arricchiti dei canali privi di una caratterizzazione politica, o meglio ancora, privi di una misurabile corrente di pensiero come il Movimento 5 Stelle e la Lega.
Quindi la responsabilità, seguendo un simile approccio, di una stagnazione sempre più irreversibile è da ricercarsi negli errori compiuti da una forza politica ben strutturata, da una forza politica non di destra ma storicamente di sinistra; non ha infatti senso ripetere che sono interpretazioni antiquate e superate quelle che ipotizzano scomparse simili caratterizzazioni perché nei fatti simili schieramenti continuano a motivare precisi schieramenti, precisi comportamenti Per ricostruire la sinistra bisogna ammettere il fallimento della sinistra ed allontanare tutti coloro che, specialmente negli ultimi dieci anni, si sono infiltrati proprio nelle aree di sinistra quando il vero loro ambito, il loro vero humus era la destra.
Questa analisi, sicuramente molto artigianale e forse non adeguatamente supportata da elementi più significativi, mette però in evidenza la preoccupante forma di stagnazione che caratterizza l’intero confronto politico e denuncia chiaramente l’assenza di possibili scenari capaci di ridare ruolo, nel breve periodo, ai vari attori dell’attuale teatro politico; rischiamo, cioè, per molto tempo, di rimanere legati a riferimenti politici privi di capacità, privi di incisività, privi di quella dote che caratterizza coloro che vogliono e sanno gestire la “cosa pubblica”.