PERCHÉ È MEGLIO NON FAR FARE IL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA AL GOVERNO USCENTE

Tra le motivazioni che spingono alle necessità ed urgenza di avere un nuovo Governo, ci sono quelle economiche: bisogna redigere un Documento di Economia e Finanza, prepararsi per le richieste di equilibrio dei conti che la Unione Europea ci chiederà, trovare le risorse per l’attuazione delle politiche economiche e sociali che le nuove forze vittoriose delle ultime elezioni richiedono, correggere il ciclo di bilancio. Ma quali sarebbero i connotati della politica economica ereditata, quali le caratteristiche delle manovre che ci aspettano e quali settori inevitabilmente subirebbero ulteriori impasse, nell’ipotesi in cui il Documento di Economia e Finanza fosse “inerziale” ?

La relazione al Consiglio dei Ministri del 23 settembre 2017, presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni Silveri e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, afferma  che “Le misure che si intende proporre con il Disegno di Legge di Bilancio per il triennio 2018-2020 operano in continuità con le politiche già adottate negli anni precedenti.”

Basterebbe questa frase per poter affermare con certezza che ad oggi non sembrerebbe opportuno che il Governo uscente procedesse alla redazione del DEF. Basterebbe ricordare che l’indebitamento netto è rivisto per il 2018 dall’1,2 del DEF all’1,6 per cento del PIL, per il 2019 è rivisto al rialzo dallo 0,2 allo 0,9 per cento, mentre per il 2020 è più contenuta, da 0,0 per cento a 0,2 per cento. Questa progressione di indebitamento netto consentirebbe di pagare totalmente “la sterilizzazione” dell’IVA  nel 2018 e parzialmente nel 2019, rilasciando così risorse nel 2019 e 2020  “per misure di sostegno agli investimenti pubblici e privati, inclusi quelli in capitale umano e ricerca”. Nelle intenzioni del Governo uscente l’Output Gap, cioè la distanza tra il deficit di bilancio ed il tasso di crescita del PIL, dovrebbe contrarsi proprio per effetto di disponibilità economiche possibili dopo il pagamento delle clausole di sterilizzazione dell’IVA.

Facendo due conti: nel triennio 2018 – 2020  la sterilizzazione dell’IVA costa 47 mld di euro, a fronte di una previsione di PIL che la UE ritiene essere pari all’1% annuo ed un deficit strutturale che sempre l’Unione Europea ritiene essere del 2%. Pagata la sterilizzazione dell’IVA e scongiurata la necessità di far rientrare nel 2% annuo il deficit strutturale, che costerebbe circa 110 mld di euro nel triennio, tra le risorse rimanenti da destinare a tutte le “misure di sostegno agli investimenti pubblici e privati, inclusi quelli in capitale umano e ricerca”, le infrastrutture  potrebbero contare, data l’attuale composizione dei costi complessivi del sistema Italia, su circa 3mld di euro all’anno.

E’ opportuno infatti ricordare che nel settore delle infrastrutture di trasporto le “politiche espansive” strombazzate dal Governo uscente e dal Ministro Delrio si basavano su un maggior indebitamento richiesto dall’Italia e ad assicurare incentivi fiscali alle più disparate categorie sociali. Nell’arco del 2016 e 2017 il fallimento della clausola europea per gli investimenti, che avrebbe dovuto registrare un aumento degli investimenti di 5 miliardi di euro ha, invece, comportato una diminuzione di circa 2 miliardi di euro. Non si vorrebbe dover inevitabilmente sottolineare qui come tutti i fondi a disposizione di un ampio programma di investimenti nel settore delle infrastrutture di trasporto siano state solo propagandistiche comunicazioni del governo Renzi, visto che in complessivo la quota di investimenti è diminuita in un solo anno di circa 6.6 mld di euro – tra il 2017 ed il 2018 i contributi in conto impianti a Ferrovie dello Stato e Anas sono diminuiti  di circa 1.6 mld e  il fondone  investimenti per le infrastrutture di 2 mld mentre cresce il fondo di coesione europeo poco esigibile nel medio periodo e quindi non preoccupante per gli impatti sul deficit a breve, ma siamo purtroppo obbligati a ricordare che la struttura logica ed il contesto di riferimento entro il quale sono maturate le politiche economiche che il nuovo Governo erediterà, rimarrebbero intatte  nell’ipotesi anche inerziale di un nuovo DEF per il 2018 2021. Lo shock di cui il sistema degli investimenti  avrebbe bisogno subito, sarebbe perciò rinviato ad un anno data, o necessariamente corretto a settembre. In entrambi i casi il sentiero stretto per lo sviluppo economico sarebbe ulteriormente ristretto.

Questa analisi, molto tecnica e, per in non addetti ai lavori, forse poco interessante, rappresenta il primo impatto doloroso del nuovo Governo, del nuovo Parlamento. Un impatto che imporrà una obbligata politica di rivisitazione pesante delle nostre abitudini economico – finanziarie. Potremmo anche non accettare queste oggettive denunce sul bilancio del nostro Paese, potremmo anche trasferire come al solito alla Unione Europea il ruolo di controllore cattivo privo di elasticità e, per assurdo, potremmo anche assumere toni critici, addirittura, potremmo anche dichiarare apertamente la nostra non condivisione su alcuni vincoli che la Unione Europea sicuramente imporrà, ma nei fatti non rispettare i pilastri di riferimento, comporterà automaticamente una presa di distanze dell’intero sistema finanziario internazionale e, purtroppo, prenderebbe corpo un processo irreversibile di default del Paese. Molti penseranno a questo come puro terrorismo, puro gratuito allarmismo, in realtà rispecchia solo ciò che per oltre quattro anni abbiamo voluto ignorare convinti che il fattore tempo avrebbe risolto gli errori accumulati in una fase gestionale del Paese che solo oggi il nuovo Parlamento, il possibile nuovo Governo dovrà affrontare e risolvere.  Speriamo, quindi, che il DEF prodotto dall’attuale Governo dimissionario rimanga un semplice esercizio utile solo per annullare una continuità gestionale che non sarà facile dimenticare davvero; non lo dimenticherà il comparto delle infrastrutture, infatti, per un banale effetto di trascinamento degli errori strategici commessi, sia per l’attuale anno 2018, sia per il prossimo anno 2019, il comparto delle infrastrutture subirà ancora una pesante stasi.

1 comment

  1. Mi sembra un’auspicabile evento, ma il riflesso sulle infrastrutture è ottimistico, non c’è all’orizzonte un possibile governo che possa limitare l’effetto del governo uscente alle sole annualità 2018 e 2019.

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