DIAMO FORMALMENTE RUOLO ALLA CONFERENZA STATO REGIONI EVITEREMMO DI PROGRAMMARE E PIANIFICARE IL NULLA

In assenza di un intervento organico nel tessuto della pianificazione territoriale del nostro Paese, rischiamo di tornare all’Italia dei Comuni, che sicuramente non è da sottovalutare, ma un simile ritorno annullerebbe automaticamente il concetto di “unità nazionale” che, con grande sofferenza, abbiamo tentato di costruire, non riuscendoci, negli ultimi settanta anni.

Se infatti tentiamo di leggere e ci sforziamo di capire le varie Leggi regionali relative alla pianificazione urbanistica a scala regionale e locale, se tentiamo di capire le motivazioni usate da ogni singola Regione per definire dei codici comportamentali nella redazione degli strumenti urbanistici, se ci addentriamo nel ruolo che le Regioni hanno nella fase programmatica e decisionale dello Stato relativa alle scelte infrastrutturali strategiche (vedi sentenza ultima della Consulta su impugnativa della Regione Veneto), scopriamo che in sostanza il governo del territorio del nostro Paese ricade nelle competenze della Conferenza Stato Regioni.

Nasce  logicamente  spontanea una proposta: poiché è difficile, e forse addirittura impossibile, modificare il Titolo V° della Costituzione, non ci resta che dare, con un normale atto amministrativo o se necessario con una Legge molto semplice, alla Conferenza Stato Regioni il compito e la funzione di proporre formalmente un Piano organico delle reti e dei nodi infrastrutturali coerenti con le finalità strategiche dei gestori delle singole realtà territoriali. La Presidenza del Consiglio e non il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti attraverso il Dipartimento Interministeriale per la Programmazione Economica (DIPE) dovrebbe istruire la proposta e sottoporla al CIPE. L’approvazione di tale strumento, avvenendo in una sede come il CIPE in cui sono presenti le Regioni, diventerebbe un atto programmatico e pianificatorio forte e come tale riferimento portante per ogni decisione progettuale.

Tale atto programmatico verrebbe inoltrato alle Commissioni parlamentari competenti e dopo la registrazione delle Corte dei Conti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Addirittura potrebbe anche prevedersi un aggiornamento sistematico (ogni tre o cinque anni) e potrebbe anche essere allegato un macro Piano economico finanziario, utile non solo per definire il valore degli investimenti, ma anche le possibili coperture. Uno strumento del genere, tra l’altro, non dovrebbe avere come riferimenti operativi i Contratti di programma delle Ferrovie dello Stato e dell’ANAS in quanto questi strumenti dovrebbero essere redatti solo a valle di un simile Piano e dovrebbero non essere approvati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ma dal Dipartimento Interministeriale per la Programmazione Economica della  Presidenza del Consiglio, cioè da un organo in cui sono presenti anche i delegati dei Ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali. Verrebbe in tal caso meno anche il ricorso allo strumento invocato ultimamente con il “debàt publique” e, addirittura, un simile atto programmatico potrebbe essere considerato come una interessante Verifica Ambientale Strategica”.

È questa una maniacale forma di pianificazione o di ricerca di superamento di un vincolo costituzionale davvero bloccante? Penso proprio di no. É invece un tentativo per evitare che la Legge 56/2014 (quella che detta disposizioni in materia di città  metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni al fine di adeguare il loro ordinamento ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza) incrini ulteriormente la unitarietà decisionale dello Stato e, addirittura, ricrei il più preoccupante “provincialismo”, la più grave forma di autonomia decisionale soprattutto nella approvazione di strumenti urbanistici che, contemplando, in base alla Legge 1150 del 1942, anche il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC), rischiano di disattendere anche scelte strategiche a scala nazionale e comunitaria.

Sicuramente la critica ad un Piano organico delle reti e dei nodi infrastrutturali proposto dalla Conferenza Stato Regioni ed approvato dalla Presidenza del Consiglio, sarà legata al lungo arco temporale necessario per redigere tale strumento e, soprattutto, per approvarlo. Analizzando, però, attentamente gli strumenti di pianificazione disponibili scopriremmo degli “invarianti programmatici”; tali invarianti sono stati  definiti dal Piano Generale dei Trasporti nel 1986, sono stati confermati nel primo aggiornamento del Piano nel 1991, sono stati ribaditi nel 2001 e supportati dalla Legge 443 nel 2002 (Legge Obiettivo), sono stati, infine, riconfermati nel Programma delle Reti TEN – T approvato dal Parlamento europeo nel 2004 e definitivamente confermati nel Programma delle Reti TEN – T del 2013. “Invarianti” perché frutto di una capillare analisi delle reali esigenze infrastrutturali del Paese e nel tempo sono sempre rimaste tali poiché rispondevano e rispondono ad un rapporto domanda – offerta che non è cambiato e non può cambiare in quanto legati a corridoi infrastrutturali e a nodi urbani e logistici che sono la spina dorsale del sistema socio economico del Paese. Sarebbero, quindi, sufficienti sei mesi per una rilettura critica dell’impianto e per una prospettazione organica di medio e lungo periodo.

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