L’ASSENZA DI UNA CLASSE DIRIGENTE

Il nostro sistema di obiettivi, quello che chiamiamo frontiera del benessere sociale, ha oggi nuove ed inedite espressioni. L’individualismo, la sopravvivenza del singolo rispetto al gruppo, l’egoismo sociale, sono tutti sentimenti che forse dovrebbero farci riflettere soprattutto sulle cose che ci entusiasmano. Il piacere personale di vedere un progetto, un insieme di carte, una procedura, delle leggi che tutte insieme fanno prendere forma e vita ad un infrastruttura, pensarne le erogazioni di servizi, immaginare come il nostro stato di benessere sociale possa aumentare e quanto una coppia di binari, o una nuova strada , o un nuovo edificio ci possa far sentire uomini e donne migliori  sono tutte emozioni di natura professionale che ci appagano che ci divertono, sono sentimenti nei quali veramente crediamo e nei quali abbiamo investito più che i nostri sforzi, la nostra immaginazione Non possiamo però non porci una domanda: ne vale veramente la pena? Vale la pena  sentirsi cittadini nel nostro Paese e comportarsi secondo una etica sociale, un codice comportamentale a cui gli stessi ed altri concittadini attribuiscono valori diversi? Se tentassimo di effettuare una indagine capillare intervistando un cospicuo numero di colleghi o di soggetti impegnati a vario titolo nella gestione della cosa pubblica scopriremmo che la interpretazione di opere come l’asse ferroviario AV/AC Napoli – Bari o Palermo – Catania è completamente diversa da quella che ha invece caratterizzato l’impegno professionale di coloro che avevano creduto  nella organicità del Programma delle infrastrutture strategiche previsto dalla Legge Obiettivo e che era sin dal primo momento convinto che il respiro pluriennale (un decennio) del Programma non ci esimeva dal rispetto, quasi maniacale, della funzione “tempo”.

Eravamo convinti  che la infrastrutturazione organica, specialmente del territorio meridionale, non poteva avvenire in un arco temporale lungo e, soprattutto, non poteva essere vissuta al di fuori del concetto di concreta contestualità delle attività realizzative; per questo motivo il Governo nel 2013 decise di nominare per le due opere prima menzionate un Commissario con ampi poteri proprio perché la realizzazione di questi due assi ferroviari ad alta velocità offriva concrete condizioni di sviluppo ad ambiti territoriali chiave dello stesso Mezzogiorno, ma questo approccio, questo convincimento sulla forza della “contestualità” nell’avvio e nella conclusione delle opere e della urgenza nel rendere funzionali e compiute scelte progettuali, purtroppo non è una linea concettuale comunemente condivisa. Sembra strano ma esiste una chiara dicotomia tra coloro che credono in una azione organica e legata ad un atto programmatico di ampio respiro e coloro che ritengono, invece, che la realizzazione di una infrastruttura sia una tessera estranea da un mosaico strategico del Paese, sia una tessera non vincolata ad una precisa tempistica realizzativa.

Di fronte a questo distinto codice comportamentale, di fronte a questa chiara volontà di non sentirsi attori e responsabili diretti del successo o dell’insuccesso di un programma, di una azione progettuale, prende corpo una naturale analisi sulla correttezza di chi ricerca il raggiungimento di risultati in una realtà istituzionale in cui si premia il “non fare” e si penalizza invece chi persegue “il fare”.

Questo sentimento, che nel migliore dei casi è inconsapevolezza nel peggiore dei casi è pigrizia ed incapacità, comporta un sistematico rischio che genera, automaticamente, la creazione di una nuova, ma solo per gli emolumenti che gli vengono pagati, classe dirigente disposta solo a seguire, in modo notarile, l’evolversi di una scelta progettuale senza mai sentirsi direttamente coinvolto, senza mai tentare di superare i sistematici vincoli autorizzativi propri di ogni intervento sul territorio. Sicuramente questa epidemia di “irresponsabili” bloccherà ulteriormente la crescita e lo sviluppo, disegnando un profilo “dell’interesse generale” molto diverso da quello che confluisce nella definizione stessa del beneficio. Il Paese, quindi, cadrà in uno stato di torpore sempre più irreversibile e contestualmente, verranno meno sia i dubbi, sia la miriade di processi, nella maggior parte anche alle intenzioni, che hanno caratterizzato la storia di questi ultimi anni.

Non arginare questo fenomeno significa rendere sempre meno competitivo il nostro Paese, significa cadere nel peggiore isolamento e nel peggiore decadimento professionale e, al tempo stesso, significa anche produrre un vero terrorismo nella interpretazione delle norme e dei vincoli che giorno dopo giorno proliferano nel nostro Paese invocando sempre, solo e comunque il nuovo totem che alimenta populismi e demagogie, la prevenzione alla corruzione. Può sembrare strano ma proprio in tal modo si amplificano le condizioni ed il brodo in cui vivono le forme di corruzione più sofisticate.

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