Spesso ci chiediamo come mai le realtà portuali del nostro Paese ipotizzano piani pluriennali privi di ogni certezza e di ogni corretta previsione, purtroppo è una vecchia abitudine che nel 2002, in occasione dell’avvio operativo del Programma delle Infrastrutture Strategiche previsto dalla Legge Obiettivo e supportato dalla Legge 166/2002, venne ampiamente denunciata. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, infatti, in uno dei primi Allegati Infrastrutture al Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF), allegò l’elenco di tutti gli studi prodotti dalle varie Autorità Portuali (all’epoca ben 25) e mise in evidenza un dato molto preoccupante: i programmi di sviluppo redatti dalle varie Autorità e prodotti da illustri docenti universitari prevedevano per il 2020 una movimentazione globale negli impianti portuali del Paese di oltre 40 milioni di container. Un dato davvero assurdo se si tiene conto che nel 2001 nei nostri porti erano stati movimentati solo 8 milioni di container e che nell’intero Mediterraneo il dato globale non superava i 22 milioni di container. Assume così una chiara ed inconfutabile responsabilità sia la cultura universitaria, sia la superficialità professionale che, pur di soddisfare le illusioni provinciali di singoli gestori di impianti, regalava previsioni utopiche e impossibili. Oggi, ormai vicini alla data del 2020, il numero dei container si attesta su un valore di 11 milioni e nell’intero Mediterraneo non supera il valore di 25 milioni.
Il fallimento di questo gratuito sistema che ipotizzava crescite e sviluppi di movimentazioni solo per soddisfare aspettative e amplificava i tipici localismi del nostro Paese, ha, in questi ultimi cinque anni fatto capire che il dato previsionale non è affatto legato:
- alla capacità della offerta infrastrutturale di un porto ed inoltre, nella maggior parte dei casi, non c’è alcuna corrispondenza automatica tra offerta e domanda
- alla rendita di posizione propria di alcuni nostri impianti portuali
- alla efficienza ed alla professionalità dei soggetti preposti alla gestione dell’impianto
ma alla capacità di garantire itinerari completi delle merci movimentate.
Possibile allora che non ci poniamo mai nella condizione di comprendere come mai le nostre stesse merci movimentate nei nostri grandi interporti di Bologna, di Padova e di Verona scelgano come porti quelli del mare del Nord, preferiscano cioè percorrere mille chilometri su strada o su ferrovia lunghi percorsi per raggiungere Amburgo o Rotterdam e non scelgano porti come La Spezia, Genova e Livorno ubicati a distanza non superiore ai 250 chilometri? Considero utile, per poter capire un simile paradosso, leggere attentamente l’approccio con cui la Cina ha affrontato l’intero ciclo delle movimentazioni a scala mondiale pervenendo ad una ipotesi progettuale che chiarisce cosa significhi davvero “l’intelligenza programmatica” quando decide di ottimizzare un processo logistico: non si limita alla lettura di una tessera del mosaico geoeconomico del pianeta ma affronta nella sua interezza l’intero sistema e ne identifica in modo encomiabile le reti ed i nodi offrendo in tal modo una visione strategica che, al tempo stesso, non lascia false illusioni e assicura certezze misurabili nel medio e lungo periodo. Ho avuto la fortuna di partecipare a Pechino agli inizi del 2008 ad un importante summit sulla logistica in cui venne anticipato, nelle linee generali, il progetto “One Belt One Road” e sono rimasto colpito dalla scelta cinese di utilizzare la via terrestre per raggiungere i Paesi della Unione Europea e, devo essere sincero, non avrei mai immaginato che nell’arco di un quinquennio avrebbero reso operativo non solo l’asse terrestre ma anche quello marittimo. Nel 2016 infatti è stata lanciata nella sua più ampia organicità il progetto One Belt One Road in cui sono chiaramente identificati gli unici HUB portuali del nostro Paese che svolgono, all’interno di tale sistema, un ruolo strategico vincente: i sistemi portuali del Nord Tirreno e del Nord Adriatico.
Come già ho avuto modo di dire, saranno proprio Savona, Genova, La Spezia e Livorno e Trieste le portualità destinate a garantire un ruolo forte e determinante del nostro Paese non nell’assetto del Mediterraneo ma in quello dell’intero sistema relazionale euroasiatico. Purtroppo sia la stasi gestionale e programmatica del Governo del nostro Paese sia negli utili cinque anni (anni in cui si è varata una riforma della offerta portuale senza garantire però l’elemento chiave utile per far decollare la riforma quale l’autonomia gestionale delle singole gestioni portuali), che la stasi istituzionale che abbiamo vissuto per oltre tre mesi, con la conseguente esplosione delle perplessità su alcuni interventi essenziali per la vita soprattutto dei porti ubicati nell’arco mar Tirreno settentrionale, rischia di limitare la nostra presenza portuale all’interno di questo “progetto mondo” solo al porto di Trieste. Sarebbe opportuno, quindi, che ci convincessimo che con la massima urgenza va data attuazione a quanto previsto dall’articolo 4 della Legge 245 del 1984 che impone l’aggiornamento triennale del Piano Generale dei Trasporti. Un aggiornamento molto semplice in quanto trattasi solo di inserire all’interno del nostro Paese le scelte compiute dalle Reti TEN – T del 2014 e dal quadro strategico del programma “One Belt One Road”. Un Piano dei Trasporti da approvare non con Decreto del Presidente del Consiglio o con un Decreto del Presidente della Repubblica ma con un’apposita Legge in modo da evitare gratuite schizofrenie del vasto sistema di Movimenti che negli ultimi anni è esploso nel nostro Paese.
E come é e sarà dannoso un governo che non crede nelle grandi opere, nella programmazione, nella cultura, nell istruzione! Medioevo…..
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