Nessuno negli anni sessanta immaginava che la rete dei trasporti di un vasto sistema territoriale potesse distruggere il concetto di confine fra Stati e potesse dare origine all’accordo di Schengen. La rilevanza dell’accordo si evince ricordandone alcuni elementi storici e alcune sue specificità.
Si può definire la convenzione di Schengen come una cooperazione rafforzata all’interno dell’Unione Europea. L’accordo fu firmato a Schengen il 14 giugno 1985 fra Benelux, Francia e Germania; con tale strumento si intendeva eliminare progressivamente i controlli delle persone alle frontiere comuni e introdurre un regime di libera circolazione per i cittadini degli Stati firmatari, degli altri Stati membri della Comunità o di Paesi terzi.
Gli accordi di Schengen sono stati estesi nel tempo agli altri Stati membri: l’Italia ha firmato gli accordi nel 1990, la Spagna e il Portogallo nel 1991, la Grecia nel 1992, l’Austria nel 1995 e la Finlandia, la Svezia e la Danimarca (attraverso un adattamento dello statuto particolare) nel 1996. L’Irlanda e il Regno Unito partecipano, dal canto loro, solo parzialmente.
Anche due paesi terzi, l’Islanda e la Norvegia, fanno parte dello spazio di Schengen dal 1996. La Svizzera ha aderito per le frontiere di terra il 12 dicembre 2008. Il Liechtenstein ha aderito il 19 dicembre 2011. Per tutti questi Paesi rimangono in vigore i controlli doganali (sulle merci, anche se trasportate sulla persona).
I nuovi Paesi membri della Unione Europea dal 2004 e dal 2007 sono obbligati a entrare nello spazio Schengen, gli altri Paesi UE hanno ottenuto un periodo transitorio prima di avviare la libera circolazione delle persone, inoltre i nuovi Paesi membri devono dotarsi di tutte le infrastrutture adeguate a implementare il sistema di informazione Schengen. Il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda non hanno aderito al Trattato di Schengen.
Entrando nel merito degli obiettivi l’accordo prevede:
- abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne dello spazio Schengen;
- rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen;
- collaborazione delle forze di polizia e possibilità per esse di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi);
- coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale (per esempio mafia, traffico d’armi, droga, immigrazione clandestina);
- integrazione delle banche dati delle forze di polizia
Appare evidente quanto sia stata lunga e sofferta la fase che ha portato all’operatività organica e concreta dell’accordo: dalle prime tre adesioni del 1985 Francia, Benelux e Germania, a quelle dell’Italia, poi dell’Austria, della Finlandia, della Svezia e della Danimarca e della Irlanda e del Regno Unito. Undici lunghi anni per attuare una decisione che rendeva finalmente integrato l’intero assetto comunitario e azzerava i tempi lunghissimi del controllo delle merci e, anche se ancora vigenti dei vincoli doganali, ha portato un contenimento dei costi nella logistica stimata intorno ai 4 miliardi di euro all’anno, ma proprio questo lungo arco temporale testimonia quanto sia forte il concetto di “confine” e quanto sia ancora lontana la possibilità che si passi dal concetto di unione economica a quello di unione politica. D’altra parte anche gli Stati Uniti d’America divennero tali dopo un arco temporale lunghissimo (dal 1776 al 1930) cioè fino alla presidenza di Franklin Delano Roosevelt.
Effettuando un’ulteriore indagine su quali erano gli atteggiamenti dei Paesi della Comunità negli anni settanta si scopre come non solo c’era diffidenza sull’ipotesi di una liberalizzazione dei transiti e ogni ipotesi di liberalizzazione rimaneva all’interno della retorica dei politici dei singoli Stati i quali invocavano la libertà di muoversi delle merci, delle persone e delle idee, ma, trattandosi di un obiettivo da raggiungere con l’unanimità e con l’approvazione dei singoli Parlamenti, ognuno di essi in fondo era convinto che mai si sarebbe raggiunto un simile risultato.
Oggi però l’effetto Schengen, sia per il terrorismo a scala mondiale, sia per la esplosione del fenomeno migratorio, sta, anno dopo anno, perdendo quella carica strategica che nel tempo avrebbe assicurato, davvero, l’avvio verso una convinta costruzione di “Stati Uniti d’Europa”. Abbiamo posto in questi ultimi giorni grande attenzione ai vincoli economici (Maastricht ed eurozona) e abbiamo imposto ai nuovi membri del Governo il massimo rispetto degli accordi e delle direttive comunitarie, abbiamo, di fatto, voluto che dichiarassero apertamente l’assenza di ogni impostazione critica al processo di consolidamento dell’assetto comunitario, ma nessuno ha notato quanto poca sia la nostra attenzione sulle forme di controllo ai transiti e quanto siano tornati di moda:
- Il contingentamento nei transiti con l’Austria
- Il controllo al confine tra la Francia e l’Italia
- I controlli posti ai confini tra l’Ungheria e gli altri Paesi della Unione Europea
- I controlli posti ai confini tra il Belgio ed alcuni Paesi della Unione Europea
La rete infrastrutturale è la griglia su cui prende corpo il concetto di interesse comune, il concetto di convenienza nella gestione comune dell’assetto territoriale, dell’assetto produttivo; interrompere questa fluidità nei transiti reinventando il concetto di confine significa, purtroppo, distruggere in modo irreversibile quella volontà che aveva portato Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman a disegnare, con una lungimiranza encomiabile, un impianto geoeconomico privo di vincoli fisici. Purtroppo oggi non disponiamo più di simili intelligenze e, soprattutto, riteniamo più utile regredire, riteniamo addirittura conveniente ritornare al passato perché il provincialismo, l’individualismo è tipico delle crisi culturali che, sistematicamente, quasi con un ritmo ventennale, assillano il nostro Paese, assillano la intera Europa.
Speriamo che finisca presto questa grave e lunga crisi intellettuale e si torni quanto prima ad una ridimensione sostanziale del concetto di “confine”.