Come mai nessuno ha sollevato problemi per il nuovo tunnel ferroviario del Brennero, come mai non sono nati nel tempo anche qui i “No TAV”? Nasce spontaneo un dubbio: la Val di Susa è perciò stata nel tempo una splendida area per far crescere vere forme eversive contro la realizzazione dell’opera? Quindi lo Stato italiano diventa inerme di fronte alle volontà di sparute minoranze territoriali contravvenendo proprio al concetto elementare di “democrazia”? La risposta del Movimento 5 Stelle può essere sicuramente legata al concetto di “utilità” dell’opera; il Brennero, infatti, ha una elevata domanda di trasporto, il Brennero ha raggiunto già livelli di saturazione, il Brennero ha problemi di sagoma della attuale galleria che compromettono i transiti delle nuove generazioni di container. Per il Brennero quindi non si è caduti nel ricatto dei localismi e si è seguita la logica dell’interesse nazionale e comunitario. È facile, fare polemica o invocare, come fatto proprio dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, strumenti come l’analisi costi benefici per tentare di annullare o rivedere scelte fatte dai Governi precedenti o, addirittura, fatte dalla Unione Europea. Un simile atteggiamento già da solo denuncia quanto poca fiducia ci sia nell’attuale Governo nei confronti della istituzione comunitaria. Per evitare di cadere in una inutile e gratuita polemica penso sia opportuno soffermarsi sulla scelta strategica assunta nel lungo iter istruttorio che, dal 2004 al 2012, ha portato i 28 Paesi della Unione Europea a definire, con ampie motivazioni, l’impianto delle Reti TEN – T (Trans European Network), formato da ben nove corridoi comunitari.
Se analizziamo in particolare i quattro Corridoi che interessano il nostro Paese e cioè: il Corridoio Algeciras – Kiev, il Corridoio Rotterdam – Genova, il Corridoio Helsinki – La Valletta e il Corridoio Baltico – Adriatico, ci rendiamo conto che sono accomunati da una peculiarità che gli altri cinque Corridoi non hanno: tutti e quattro attraversano specifici valichi che consentono ai Paesi della Unione Europea di entrare nel nostro Paese ed accedere ad un bacino di consumi di oltre 60 milioni di abitanti, ad accedere al bacino del Mediterraneo e offrono al nostro Paese di accedere al vasto sistema delle “convenienze” rappresentato dalla Unione Europea.
Soffermiamoci quindi un attimo su un dato: la quantità delle merci transitata sull’intero arco alpino nel 1967 (ultimo anno in cui si è avviato a realizzazione un nuovo valico) ed oggi: nel 1967 solo 19 milioni di tonnellate, nel 2017 oltre 190 milioni di tonnellate.
Il nostro Paese solo con la Legge Obiettivo ha praticamente capito che non aveva più senso continuare ad approfondire studi e ricerche per realizzare opere che non ammettono rinvii e che la mancata realizzazione delle stesse penalizza direttamente la crescita economica non solo di aree frontaliere, non solo dei Paesi confinanti, ma dell’intero sistema economico comunitario.
Effettuiamo, allora, un approfondimento sul nuovo tunnel ferroviario lungo l’asse Torino – Lione e ipotizziamo quali sono le reali sofferenze che l’intero corridoio riceverebbe dalla mancata realizzazione di tale opera.
Prima però di denunciare le criticità generate dalla mancata realizzazione del nuovo tunnel, è opportuno che siano evidenziate tutte le considerazioni negative sull’iniziativa. Cominciando con quelle relative alle nuove logiche di trasporto a scala mondiale.
In considerazione del basso costo unitario di trasporto via nave e della presenza di molti porti, questa configurazione dei commerci mondiali determina in Europa, secondo quanto evidenziato da alcuni tecnici dell’Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino – Lione, la prevalenza dei corridoi nord-sud rispetto a quelli est-ovest. Questo perché è improbabile che una nave scarichi dei container ad esempio a Genova se questi sono destinati alla Francia o alla Spagna: in tali casi proseguirà direttamente per Marsiglia o Barcellona. Viceversa, le merci destinate ai Paesi del centro Europa (Austria, Svizzera, parte della Germania ecc.), dovranno essere trasportate dai porti mediterranei o del nord Europa verso il cuore del continente, cioè su corridoi nord-sud.
Dopo gli approfondimenti dell’Osservatorio prendiamo in esame quelli della Società LTF (Lyon Turin Ferroviaire è una azienda di diritto francese creata la realizzazione della sezione transfrontaliera). LTF prevedeva incrementi molto significativi: sia per l’intero arco alpino che per il corridoio di Modane. Circa quest’ultimo si ipotizzava che il traffico ferroviario merci, che nel 2004 era stato di 6,5 milioni di tonnellate, raggiungesse nel 2030 i 16,4 milioni in assenza della nuova infrastruttura e ben 39,4 con essa. Ma le previsioni di LTF si sono dimostrate molto lontane dalla realtà perché nel decennio seguito al 2004 il traffico stradale non è aumentato e quello ferroviario è ulteriormente diminuito.
Dopo questa esposizione delle motivazioni che porterebbero ad una utilizzazione della attuale linea ferroviaria, senza voler elencare gli approfondimenti a scala comunitaria effettuati sotto il coordinamento dei Commissari Van Miert e De Palacio con il supporto della BEI e primari Istituti di ricerca internazionali, risulta sufficiente riportare semplicemente le caratteristiche dell’attuale linea ferroviaria.
L’attuale linea ferroviaria attraversa la valle di Susa ed il traforo ferroviario del Frejus, per terminare infine presso la località francese di Modane. La prima tratta, da Torino a Susa, fu inaugurata il 22 maggio 1854. Il punto più elevato del tracciato è a quota 1338 m, all’interno del traforo ferroviario del Frejus. La pendenza massima è del 30‰. Con le attuali locomotive vengono gestiti treni fino a 1.150 tonnellate in doppia trazione e fino a 1600 t in tripla trazione; a titolo di paragone l’attuale ferrovia del Gottardo permette transiti in trazione multipla fino a 2000 t.
Fra il 2003 ed il 2011 si svolsero i lavori di adeguamento del tunnel della linea storica che hanno permesso l’adeguamento alla sagoma internazionale e portato la capacità della linea a 250 tracce teoriche al giorno, che scendono a 226, per via della manutenzione.
Nel 2013, a due anni dalla conclusione dei lavori di adeguamento, le merci trasportate sono state 3.244.800 tonnellate complessive quindi poco meno della metà del traffico merci nel 1990.
Potrebbe essere ritenuto sufficiente già quanto esposto, per confermare la validità e la indispensabilità del nuovo tunnel ferroviario, quanto riportato nella descrizione dell’attuale tracciato in quanto si è in presenza di un tunnel che nel tempo farà trasferire tutte le merci dalla ferrovia alla strada; ma è anche opportuno considerare che se i transiti delle merci Est – Ovest si mantenessero ai livelli attuali automaticamente questo itinerario sarebbe abbandonato e il Corridoio Mediterraneo (Algesiraz – Kief) non attraverserebbe più il nostro Paese, in quanto l’attuale linea sia come sagoma, sia come standard prestazionale, si caratterizzerebbe come un “vero anello mancante” inadeguato nel dare continuità a flussi di traffico provenienti dall’Europa dell’Est e per flussi di traffico che dalla penisola Iberica vanno verso l’Est dell’Europa. Un Corridoio che trova nella pianura Padana l’area produttiva più forte del sistema comunitario.
Una ultima considerazione: l’altalena dei valori del traffico lungo la linea storica è motivata dalla chiusura temporanea dei due valichi stradali. Questo obbligato utilizzo della ferrovia ha però dimostrato: costi di trazione elevatissimi, tempi di percorrenza in alcuni casi duplicati, scelta di tracciati alternativi attraverso la Svizzera e, quindi, con il pagamento di un pedaggio, pagamento di un pedaggio autostradale elevato
Queste simulazioni forzate da eventi contingenti hanno, quindi, confermato la reale presenza della domanda di trasporto ed il contestuale danno creato dalla mancanza di un tunnel ferroviario efficiente. É necessario però ricordare che il dibattito tenuto nel Parlamento italiano in occasione della ratifica dell’accordo bilaterale Italia – Francia sul nuovo tunnel e le conclusioni dell’Assemblea francese testimonino la convinta volontà strategica dei due Paesi; una volontà confermata più volte a scala comunitaria.
Forse converrebbe essere più umili nell’affrontare argomentazioni che sono state assunte in sedi molto più autorevoli e, quindi, dovremmo evitare di supportare schieramenti che perseguono, forse involontariamente, finalità prive di una corretta impostazione analitica, prive di sana oggettività. Se infatti qualcuno leggesse effettivamente quale danno provoca al nostro Paese l’assenza di un’offerta infrastrutturale organica ed efficiente scoprirebbe un valore annuo di 70 miliardi di euro. Tale valore è riportato, proprio in questi giorni, in una ricerca effettuata dalla SACE.