Senza dubbio è l’elemento più complesso e forse più difficile da capire e da interpretare, é proprio il rapporto che in questi ultimi due – tre anni si è instaurato tra le nuove generazioni e quelle che osiamo definire “vecchie”. Assistiamo, in realtà, ad un continuo confronto, direi, scontro, tra le scelte e i comportamenti che le nuove generazioni assumono sistematicamente e l’atteggiamento delle vecchie che le ritengono, quasi sempre, estranee ad ogni logica funzionale o, addirittura, antitetiche ad ogni ipotesi di crescita e di sviluppo.
Ma la cosa più grave è che le nuove generazioni dopo molti anni di silenzio e, diciamolo pure, di torpore concettuale, scoprano le gravi responsabilità delle vecchie generazioni nella gestione della cosa pubblica ed, in particolare, nella utilizzazione e nella ottimizzazione delle risorse. È come se ad un certo punto le vecchie generazioni avessero raggiunto una soglia davvero inammissibile, come se la evidente e misurabile incapacità gestionale delle vecchie generazioni stesse incrinando in modo irreversibile tutte le aspettative delle giovani generazioni. Ebbene, di fronte a questo scontro traumatico le vecchie generazioni hanno fatto ricorso ad una sistematica ed incoerente linea comportamentale, davvero patetica nei confronti delle nuove generazioni; cioè hanno usato le seguenti accuse: incapacità gestionale, assenza di una preparazione adeguata, improvvisazione nelle scelte, carica giustizialista nei confronti di coloro che hanno gestito il passato. Atteggiamenti che in realtà hanno aumentato la dicotomia tra le due generazioni e hanno annullato in partenza ogni possibile dialogo.
Questo mio approccio, in quanto prodotto da un rappresentante della vecchia generazione, sembra quasi colpevolizzare la vecchia generazione in quanto incapace di ammettere le proprie responsabilità e pronta solo ad attaccare sempre ogni iniziativa, ogni scelta assunta da coloro che, per motivi di età, fanno parte delle nuove generazioni; in realtà il mio è certamente un approccio autocritico ma proprio per questo non può non ricordare che per riaprire e tessere un confronto costruttivo sia necessario richiedere alle giovani generazioni una prima disponibilità concettuale: non bloccare in modo pregiudiziale le scelte, le decisioni assunte nel passato e, addirittura, denunciarle, in modo sistematico, come la causa del blocco della crescita. Il concetto della continuità decisionale o in termini più classici “la coscienza dello Stato” non può assistere alla rivisitazione di scelte compiute da chi ha governato in passato, soprattutto non può ritenere che le verifiche economiche siano soggettive e si colorino positivamente o negativamente in funzione dei gestori del momento della cosa pubblica. Se le nuove generazioni impostano l’intero processo di critica rivisitando in modo soggettivo le scelte allora prende corpo un dubbio, forse le proposte delle nuove generazioni hanno tutte un comune denominatore: costruire una linea strategica denigratoria del passato anche se in alcuni casi le scelte si configuravano come veri “invarianti”, sia perché abbondantemente decise e asseverate da diversi filtri istituzionali, sia perché, in molti casi, avallate da organismi sovranazionali e quindi estranei a logiche di schieramento nazionali.
Allora, forse, dovremmo cominciare a costruire una nuova procedura istituzionale che, a mio avviso, potrebbe essere, la prima tessera di quel mosaico che dovrebbe caratterizzare il nuovo codice comportamentale nei rapporti tra chi ha gestito il passato e chi intende gestire il presente. La proposta potrebbe essere quella di istituire, per un arco temporale di soli tre mesi, una sede in cui il Governo uscente ed il Governo entrante si confrontino sulla impostazione del nuovo programma di governo fissando però quelli che entrambe ritengono “riferimenti vincolanti”. Un simile confronto deve essere relativo solo alla identificazione di ciò che prima ho definito “invarianti” e che hanno già subito un avallo parlamentare; un simile confronto, un simile approfondimento sarebbe molto più utile e corretto di quello che proprio in questi primi cinque mesi di governo sta effettuando presso il suo Dicastero il Ministro Toninelli. È una possibile prima ipotesi per ridimensionare questa dicotomia che giorno dopo giorno sta diventando davvero patetica e che entusiasma le nuove generazioni perché il consenso cresce proprio criticando e annullando ogni scelta presa da chi in precedenza ha gestito la cosa pubblica.
La pluriannualità delle scelte è la garanzia di ciò che chiamiamo ruolo istituzionale dello Stato; invece la rivisitazione di scelte assunte non solo da un Governo precedente, ma da un Parlamento precedente toglie automaticamente la capacità ad ogni Parlamento di programmare, toglie, cioè, quel respiro strategico che rende forti le economie di un Paese e ne legittima nel tempo ciò che, in termini macroeconomici, chiamiamo credibilità.