IL REFERENDUM SULLA TORINO LIONE È UNA PREOCCUPANTE ITALEXIT

Stiamo davvero avviandoci verso una irreversibile follia concettuale: il Vice Presidente del Consiglio ultimamente ha dichiarato che “decidere i destini della Torino-Lione attraverso un referendum popolare potrebbe essere una strada se dall’analisi sui costi e benefici non dovessero arrivare risposte chiare”. Salvini lo spiega poco dopo aver incontrato gli imprenditori lombardi, a Milano, seconda tappa del percorso di riavvicinamento al mondo del “fare” che il leader della Lega ha avviato non appena fiutata la delusione crescente delle imprese, in particolare al Nord.

Del resto si rimane sconcertati di fronte a percorsi quanto meno discutibili come quelli voluti dal Ministro Toninelli e relativi al blocco di opere già avviate; un blocco per effettuare una ulteriore analisi costi benefici. Una analisi costi benefici su opere che hanno già subito verifiche a scala comunitaria e che rispondono ad esigenze non di un limitato ambito territoriale ma di vaste aree della Unione Europea. Sembra quasi di assistere ad una folle corsa verso scenari economici sempre più preoccupanti.

In realtà in tempi di recessione non utilizzare tutti gli strumenti per liberare risorse, non è ideologico ma stupido.

In primo luogo c’è da chiedersi se sia corretto che un Governo riveda scelte effettuate non a scala regionale, non a scala nazionale, ma a scala comunitaria e lo faccia non tenendo conto che su tali scelte siano state già effettuate apposite analisi costi benefici. Questo comportamento è, ritengo, il segnale più anticomunitario che alberga all’interno della intera compagine di Governo. Sia il Movimento 5 Stelle, sia la Lega, con due azioni puramente dilatorie, testimoniano questo assurdo comportamento: il Movimento 5 Stelle bloccando l’avanzamento di scelte già fatte e la Lega invocandone lo strumento del “referendum”. Ci tengo a ricordare che alla scelta di un Corridoio Comunitario si è pervenuti dopo una analisi tecnico – economica molto approfondita; nel caso specifico del Corridoio Algeciras – Kiev, quello su cui insistono sia il collegamento ferroviario Torino – Lione che la tratta AV/AC Brescia – Verona – Vicenza – Padova, sono stati effettuati approfondimenti in un arco temporale di gestazione di almeno venti anni. In particolare sarebbe opportuno che, anche solo per puro scopo informativo, i due Vice Presidenti del Consiglio leggessero come negli anni si è pervenuti alla definizione ed alla approvazione delle Reti Trans European (TEN – T). Preciso “negli anni” perché la prima edizione risale al 1994, mentre quelle più complete sono del 2005 e del 2013. Per la definizione del Programma delle Reti TEN del 2005 l’istruttoria ha avuto inizio nel 2002 e tutte le proposte erano già all’ora stato supportate da analisi costi benefici grazie alla supervisione della Banca Europea degli Investimenti. Questa attenzione tecnico economica era motivata dal fatto che la Unione Europea avrebbe garantito la copertura fino al 20% degli interventi ubicati sulle Reti TEN – T e, addirittura, fino al 40% per la realizzazione di nuovi valichi. Nell’aggiornamento delle Reti TEN – T, eseguito nel 2009, l’istruttoria è durata ben quattro anni, e si sono effettuati ulteriori approfondimenti, imponendo addirittura delle penalità per i Paesi che avessero ritardato l’avanzamento del processo realizzativo, e sono state inserite apposite scelte strategiche quali le interazioni tra i singoli Corridoi e i nodi metropolitani e logistici (porti, interporti ed aeroporti). Ricordo che questi quadri programmatici, sia quello varato nel 2005, sia quello varato nel 2013, supportati anche da appositi fondi (come per esempio l’ultimo di questi: il Piano Junker), sono stati approvati dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo.

È così, con una sorta di elusione delle regole europee anche in materia di infrastrutture, che il revisionismo avanzato da Di Maio e da Salvini ha molte attinenze all’atteggiamento inglese di uscita dalla Unione Europea. Si rafforza così sempre più la iniziale preoccupazione del Presidente Mattarella: quella di una compagine di governo sempre più critica, sempre più pronta ad allontanarsi dall’assetto comunitario, dalle sue regole, dai suoi impegni. In fondo emergono comportamenti che denunciano chiaramente una sistematica azione di rottura con i riferimenti portanti di ciò che chiamiamo “Unione Europea”.

Non sono sintomi di un allontanamento temporaneo ma veri e propri atti politici quelli riferibili al:

  • diniego delle regole e dei parametri comunitari nella definizione della Legge di Stabilità, di una Legge intesa come tessera del mosaico economico dell’intero assetto comunitario
  • ribadire ai competenti Commissari della Unione Europea una previsione della crescita del Prodotto Interno Lordo del Paese per il 2019 pari a 1,5% senza fornire adeguate motivazioni e, anche in questo caso, non tenendo conto delle analitiche controdeduzioni sollevate sempre dai competenti uffici della Comunità
  • alla dichiarata volontà di non approvare il bilancio della Unione Europea nel caso in cui si aprisse un processo di infrazione nei confronti dell’Italia
  • al comportamento bilaterale (rapporto Italia – Francia) su una decisione tipicamente comunitaria, dimenticando che un simile rapporto produce automaticamente una infrazione
  • al possibile ricorso a procedure quali quelle relative ad una nuova analisi cost benefici o, addirittura, ad un referendum per la revisione di una scelta non legata ad un segmento infrastrutturale autonomo ma ad un segmento parte integrante di una rete che coinvolge un rilevante numero di Paesi europei

In questo modo stiamo già in una preoccupante fase di isolamento del Paese all’interno della Unione, una fase che potrebbe anticipare, addirittura, l’uscita del Paese dalla Unione Europea. Tra l’altro l’essere sempre più isolati è già un grave sintomo di convinta autosufficienza decisionale e quando ribadiamo in più sedi e in più occasioni che l’Italia è un contributore netto del bilancio della Unione Europea versando mediamente circa 15 miliardi l’anno ricevendone però mediamente solo il 70%, dimentichiamo che una simile dichiarazione si configura come un atto di pura arroganza istituzionale; dimentichiamo che non versare anche solo uno dei contributi mensili dovuti all’Europa esporrebbe subito l’Italia al pagamento di una multa. Ma più in generale avrebbe poi conseguenze imprevedibili, visto che un’interruzione totale non si è mai verificata, e tra le altre cose porterebbe l’Italia a una procedura di infrazione davanti alla Corte di Giustizia della Unione Europea.

Ritengo utile ricordare che nei rapporti internazionali i comportamenti sono più rilevanti degli atti e, in fondo, come abbiamo potuto verificare in questi primi mesi di Governo, determinate azioni ed affermazioni azzerano la credibilità del nostro Paese all’interno ed all’esterno dell’assetto comunitario. Spero di sbagliarmi.

1 comment

  1. Il dramma delle exit è che la vogliono tutti ma nessuno ne vuole pagare le conseguenze.
    Una exit sulla Torino Lione e perché allora non una exit su tutte le altre grandi opere?
    Il problema è che si ha la sensazione che uscire sia come se liberarsi da ogni responsabilità.
    Il mito della fuga!
    Questa sarebbe neppure “ fuitina “.

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