IN SVEZIA HANNO ISTITUITO UN MINISTERO DEL FUTURO. UN INDICE DI CIVILTÀ CHE NON ABBIAMO

Non è una ipotesi utopica, non è una scelta solo utile per un dibattito televisivo, ma il Governo svedese ha istituito il Dicastero del Futuro.

Nasce così un primo interrogativo: a cosa serve il Ministero per il Futuro? La risposta che viene data dallo stesso Governo svedese ed è la seguente: il nuovo Dicastero serve a promuovere il cambiamento e l’evoluzione delle pubbliche amministrazioni, con una visione lungimirante, detto in estrema sintesi:

  • innovazione e cambiamento
  • identificazione delle procedure mirate a incrementare la fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini
  • reinvenzione di un settore pubblico molto forte e privo di procedure autorizzative bloccanti
  • costruzione di una buona governance
  • identificazione degli strumenti capaci di ridurre sia le diseguaglianze, sia la formazione di aree forti e aree deboli all’interno del Paese
  • rafforzare le procedure che garantiscono la cooperazione tra il Paese e la Unione Europea prospettando anche modifiche ai vari trattati comunitari
  • inserire in tutti gli strumenti programmatici, in tutte le norme mirate al rilancio dei processi economici il concetto della “flessibilità”

La dicitura esatta, per questo Dicastero, è quella di Ministero per le strategie future e per la cooperazione nordica. L’attuale Ministro in carica è una donna, di 72 anni, e si chiama Kristina Persson.

Il mondo sta cambiando velocemente – ha dichiarato il Ministro del Futuro durante un recente viaggio in Italia – le pubbliche amministrazioni sono chiamate ad evolversi, ma per costruire lo sviluppo serve una visione lungimirante: parità di genere, fiducia negli altri e nelle istituzioni e innovazione sono fattori che contribuiscono a costruire il futuro”

La Persson è un Ministro che ripete sempre “La mia missione è il futuro, il mio compito è controllare come si progetta e cercare come si resta o si diventa insieme sempre più moderni e solidali”. Forse per capire la utilità di un simile Dicastero dovremmo fare una banale simulazione: considerare cosa ne è stato fatto in termine di scelte, di decisioni assunte dieci anni fa e, soprattutto, quanto sia trascorso velocemente un arco temporale di dieci anni e quante cose sono successe o non sono successe in dieci anni. Questa constatazione, quindi, ci fa capire che non “immaginare” come si evolveranno nei prossimi dieci anni le decisioni assunte oggi o quelle che pensiamo di assumere oggi diventa, sicuramente, una condizione chiave per la vita non di un Dicastero ma del Governo di un Paese. Ad esempio sin da ora sappiamo benissimo che nei prossimi dieci anni, alla luce del blocco delle infrastrutture operato negli ultimi quattro anni dai Ministri Delrio e Toninelli, il nostro Paese non disporrà di due opere come l’asse AV/AC Brescia – Verona – Vicenza – Padova e il quadruplicamento della tratta ferroviaria Verona – Fortezza. Non disporrà di due opere programmate, definite e supportate finanziariamente in parte sin dal 2001 e ancora ferme alla fase progettuale o autorizzativa. Questa mancata realizzazione di opere non solo ritarderà il processo di trasferimento di merci dalla strada alla rotaia, non solo non ridimensionerà l’inquinamento atmosferico ma metterà in crisi i programmi di crescita stimati dalla stazione appaltante e cioè dalle Ferrovie dello Stato. In realtà questa triste atarassia non causerà solo ulteriori fallimenti delle nostre imprese di costruzione ma non ridimensionerà l’assurdo onere che il Paese annualmente paga per la movimentazione delle merci; in realtà il costo del trasporto delle merci nel nostro Paese continuerà ad avere un valore aggiuntivo rispetto agli altri Paesi della Unione Europea di oltre 60 miliardi all’anno. Purtroppo continueremo a cadere nella trappola tipica della nostra cultura pianificatoria: programmare senza conoscere la evoluzione reale dei  possibili cambiamenti, programmare senza rendersi conto che il futuro è ciò che non siamo o siamo riusciti a fare nel presente, programmare senza dare peso alla “memoria storica” utile proprio per misurare quanto sia corto l’arco temporale del medio termine. Secondo Giuseppe De Rita “è un errato pregiudizio credere che la memoria impedisca di guardare al futuro” anzi leggendo quanto è accaduto dieci anni fa ci convinciamo di quanto sia vicino il momento in cui assisteremo alle evoluzioni ed alle involuzioni dei prossimi dieci anni.

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