FRA POCHI MESI CI ACCORGEREMO DI ESSERE UNA SOMMATORIA DI STATI E NON UNA UNIONE

È importante la nuova verifica elettorale comunitaria perché, anche alla luce dell’esperienze accumulate in questa ultima legislatura comunitaria e alle frequenti dichiarazioni di tutti gli Stati membri, è venuto meno quel collante, vero o teorico, che aveva caratterizzato, nel tempo, ciò che avevamo tutti creduto potesse configurarsi come un assetto più simile ad un modello “Stati Uniti d’Europa”. Questo diffuso innamoramento verso una forte e coesa “Unione”, purtroppo, è venuto meno e sono comparsi termini e caratterizzazioni davvero antitetiche ad una simile ipotesi; sono, cioè, comparsi i “sovranisti”, si sono consolidati gli imitatori della cosiddetta “Brexit”, sono esplosi i teorici della possibile uscita dall’euro, ecc. Ha, in realtà, preso corpo un convinto atteggiamento critico che, a mio avviso, non ha incrinato ma, addirittura, compromesso in modo irreversibile i riferimenti chiave, quelli di Adenauer, di Schuman, di De Gasperi, che avevano, sin dall’inizio, caratterizzato il lungo processo istitutivo dell’assetto comunitario. Non voglio simulare gli eventi che caratterizzeranno i mesi dopo la verifica elettorale del 26 maggio prossimo ma penso che la prima occasione da monitorare attentamente sarà quella relativa alla identificazione della Politica di coesione 2021 – 2027; nelle riunioni che si sono già effettuate su tale area tematica, sono emerse le logiche che dovranno caratterizzare le seguenti nuove priorità di investimento:

  • una Europa più intelligente, mediante l’innovazione, la digitalizzazione, la trasformazione economica e il sostegno alle piccole imprese
  • una Europa più verde e priva di emissioni di carbonio, grazie agli investimenti nella transizione energetica, nelle energie rinnovabili e nella lotta contro i cambiamenti climatici;
  • una Europa più connessa, dotata di reti di trasporto e digitali strategiche
  • una Europa più sociale, che sostenga l’occupazione di qualità, l’istruzione, le competenze professionali, l’inclusione sociale e un equo accesso alla sanità
  • una Europa più vicina ai cittadini, che sostenga strategie di sviluppo gestite a livello locale e uno sviluppo urbano sostenibile in tutta l’UE.

La Commissione, per traguardare simili finalità, propone un corpus unico di norme per 7 fondi UE attuati in regime di gestione concorrente:

  • Fondo europeo di sviluppo regionale  (FESR)
  • Fondo di coesione
  • Fondo sociale europeo+ (FSE+)
  • Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP)
  • Fondo asilo e migrazione
  • Fondo sicurezza interna
  • Strumento per la gestione delle frontiere e dei visti

Verranno introdotte disposizioni che terranno conto delle specificità dei singoli fondi, in particolare della diversità nelle impostazioni. La Commissione propone, per i programmi che hanno dimostrato un buon funzionamento, di ricorrere alle procedure di controllo dei sistemi nazionali e all’estensione del principio dell’audit unico, per evitare duplicazioni dei controlli. Compaiono anche delle novità:

La prima riguarda la Flessibilità: quando verranno adottati i programmi per la programmazione 2021-2027, solo gli stanziamenti corrispondenti ai primi cinque anni (periodo 2021-2024) verranno destinati alle priorità di investimento. Gli stanziamenti per i restanti due anni (2026 e 2027) verranno assegnati a seguito di una revisione intermedia che avrà luogo nel 2024 e sfocerà in una riprogrammazione nel 2025. Entro certi limiti, sarà anche possibile trasferire risorse da una priorità di investimento ad una altra all’interno di un programma, senza la necessità dell’approvazione formale della Commissione europea.

La seconda riguarda lo Sviluppo Urbano: il 6% del Fondo FESR sarà destinato ad investimenti per lo sviluppo urbano sostenibile a livello nazionale. Il quadro finanziario relativo al periodo 2021-2027 introduce l’iniziativa europea Urban, un nuovo strumento di cooperazione tra centri urbani incentrato sull’innovazione e sullo sviluppo delle capacità attinenti alle priorità tematiche tra le quali integrazione dei migranti, edilizia abitativa, qualità dell’aria, povertà urbana, economia circolare.

La terza riguarda: la Cooperazione territoriale europea (CTE): nel periodo 2021-2027, la cooperazione interregionale e transfrontaliera verrà favorita grazie alla nuova possibilità offerta alle Regioni, nell’ambito dei 5 obiettivi strategici della politica di coesione, di utilizzare parte della propria dotazione per finanziare progetti in Europa, in collaborazione con altre Regioni.

La quarta riguarda: Le nuove norme in materia di disimpegno: il termine “disimpegno” indica la situazione in cui un importo stanziato per un programma non sia stato reclamato da uno Stato membro entro un certo lasso di tempo e alla Commissione europea non siano, quindi, pervenute fatture a copertura dell’importo richiesto. In questo caso il denaro stanziato cessa di essere a disposizione del programma e torna al bilancio dell’UE. Tale meccanismo è stato messo a punto per garantire una efficiente e rapida realizzazione dei programmi. Il nuovo quadro regolamentare prevede un ritorno alla regola “n+2” (anni) che sostituisce la regola “n+3” applicata nel periodo 2014-2020. (l’Italia soffrirà molto una simile clausola)

 Ognuna delle varie aree tematiche sicuramente provocherà confronti e scontri che, a mio avviso, esaspereranno sempre più le distanze tra i singoli Stati ed emergerà, proprio perché invocata ripetutamente, una presa di distanza dal concetto di “coesione”. Infatti ogni qualvolta si denuncia la volontà a raggiungere interessi comuni e condivisi, ogni qualvolta si ricerca la “coesione”, esplodono automaticamente le distanze che ogni singolo Stato possiede e rivendica perché antitetiche, di solito, alle convenienze interne. La coesione, infatti, non può essere la sommatoria di più interessi ma è e rimane un obiettivo comune in cui ogni Stato intravede una parte di convenienze parziali ma utili per la crescita sia dello Stato stesso sia della Unione.

Perderemo o, ancora peggio, annulleremo il lavoro trentennale fatto nel comparto della programmazione delle infrastrutture e dei trasporti. Perderà di significato il lungo passaggio da una ipotesi programmatica come il Master Plan della Comunità Europea a dodici Stati del 1986 all’atto strategico forte e motivato delle Reti Trans European Network (TEN – T) del 2013. Verranno meno le risorse dedicate all’attuazione dei 9 Corridoi Comunitari e, soprattutto, il nostro Paese dopo le revisioni sui due Corridoi (Mediterraneo e Rotterdam Genova) perderà ogni credibilità programmatica. Sull’utilizzo delle risorse comunitarie oltre alla assurda immagine di Paese incapace di realizzare le opere, di utilizzare le risorse, di Paese soddisfatto solo di impegnare la spesa, il nuovo vincolo del disimpegno annullerà quasi totalmente i trasferimenti comunitari. In realtà il Mezzogiorno d’Italia sarà sempre più Mezzogiorno.

Queste mie considerazioni vogliono sono allertare coloro che rivestiranno ruoli nel nuovo Parlamento europeo affinché siano portatori di una nuova coscienza europea: una nuova coscienza basata su quattro riferimenti portanti:

  1. È cambiato, proprio dopo la crisi economica mondiale del 2008, il mosaico “pianeta” ed una realtà geograficamente lontana, la Cina, ha pianificato l’impianto logistico di un’area vastissima coinvolgendo anche il teatro strategico del “Mediterraneo”; il futuro non potrà non tenere conto di una simile rivoluzione concettuale
  2. Le risorse della Unione Europea vedranno sempre più i singoli Stati interessati all’utilizzo delle stesse per interventi interni al proprio ambito territoriale e in tal modo verrà meno la griglia arteriosa su cui prende forza sia la coesione, sia l’interesse comune
  3. L’attenzione alla ottimizzazione dei processi logistici non potrà mantenere il miope assetto gestionale della nostra portualità e necessariamente si dovrà invocare davvero l’autonomia delle attuali realtà portuali e sarà necessario costruire aggregazioni societarie tra distinte realtà sia nazionali che comunitarie
  4. L’attenzione all’urbano e quindi al 6% dei fondi destinati al progetto “Urban”, per un Paese in cui oltre il 45% vive in medie e grandi realtà urbane, diventa una delle occasioni fondamentali per reinventare, davvero, alcuni assetti urbanistici e per costruire, ove necessario, forme di ottimizzazione dei servizi di trasporto pubblico. Il nostro Paese possiede, in realtà, una condizione vincente: realtà urbane con oltre 13 milioni di abitanti sono servite con una rete ferroviaria ad alta velocità. La integrazione tra tale arteria ed il sistema venoso urbano diventa un tipico obiettivo del progetto “Urban”.

1 comment

  1. L’Europa verso cui stiamo andando non è ne quella di Spinelli nè quella di Monnet. Dopo l’ “allargamento” ad Est quello che si può sperare è qualcosa di simile agli Imperi multinazionali dell’Ottocento (o del Settecento) adattati a moderne tecnologie. Anche questo risultato minimo, è ora a rischio Giuseppe

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