Sulla base di una decisione presa ultimamente dall’ISTAT e che, stranamente, è rimasta una notizia solo per pochi addetti al settore, Rete Ferroviaria Italiana il gestore della infrastruttura ferroviaria nazionale, è rientrato nella Pubblica amministrazione. Questa notizia avrebbe dovuto meritare molta più attenzione di quanto non ne abbia ricevuta, soprattutto in un contesto generale in cui le incertezze sulle dinamiche attuative dello “Sblocca Cantieri” ed il tentativo di avvio di un programma di spesa pubblica pesano particolarmente sul contesto di una delle maggiori stazioni appaltanti del Paese. L’impatto di tale decisione, che non racconta quanto il rientro nella PA di RFI possa determinarne per induzione il rientro nella PA anche di Ferrovie dello Stato Spa, ha notevolissimi impatti sia sugli 1) obblighi di rendicontazione contabile, 2) che sull’effettiva capacità di spesa, 3) sulla spending review in corso da molti anni su progetti ferroviari, 4) sul bilancio dello Stato 5) sul sistema di controllo operato sul Gestore da parte di altre amministrazioni dello Stato o autorità indipendenti, 6) sulla generica capacità di operare al pari di un qualunque altro operatore industriale. Per effetto della Direttiva del Consiglio Europeo dell’08/11/2011, n. 2011/85/UE (“relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri”), “…per quanto riguarda i sistemi nazionali di contabilità pubblica, gli Stati membri si dotano di sistemi di contabilità pubblica che coprono in modo completo e uniforme tutti i sottosettori dell’amministrazione pubblica e contengono le informazioni necessarie per generare dati fondati sul principio di competenza al fine di predisporre i dati basati sulle norme Sistema Europeo Contabile ( SEC 95)”.
In applicazione del Protocollo sulla Procedura per i Deficit Eccessivi (PDE) annesso al Trattato di Maastricht è prevista la Notifica sull’indebitamento netto e sul debito delle Amministrazioni pubbliche (AP) alla Commissione Europea. Tale notifica di Eurostat ha comportato una riclassificazione degli enti appartenenti alla Pubblica Amministrazione, tra cui RFI e Trenord. Si rammenta, infatti, che le fonti normative nazionali sono costituite dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196 (“Legge di contabilità e finanza pubblica”) e dal decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91, concernente “Disposizioni recanti attuazione dell’articolo 2 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di adeguamento e di armonizzazione dei sistemi contabili”. Per poter comprendere quanto sia consistente l’impatto sui bilanci di Rete Ferroviaria Italiana e sulla rendicontazione di tali bilanci, vale la pena dettagliare gli obblighi contabili che ne derivano in capo ad una società abituata da oltre 10 anni a formulare un bilancio secondo principi prettamente industriali.
Infatti i criteri riguardano “a) adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato al fine di consentire il consolidamento e il monitoraggio in fase di previsione, gestione e rendicontazione dei conti delle amministrazioni pubbliche; b) definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi di cui alla lettera a); c) adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite, al fine di rendere più trasparenti e significative le voci di bilancio dirette all’attuazione delle politiche pubbliche, e adozione di un sistema unico di codifica dei singoli provvedimenti di spesa correlati alle voci di spesa riportate nei bilanci; d) affiancamento, ai fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale che si ispirino a comuni criteri di contabilizzazione; e) adozione di un bilancio consolidato delle amministrazioni pubbliche con le proprie aziende, società o altri organismi controllati, secondo uno schema tipo definito dal Ministro dell’economia e delle finanze d’intesa con i Ministri interessati; f) definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni alle diverse amministrazioni individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.”.
Al fine di garantire la necessaria armonizzazione a livello europeo e per stabilire se una unità controllata dalle Amministrazioni Pubbliche debba essere classificata nel settore S13, il Sistema Europeo Contabile (SEC) 2010 prevede di verificarne il comportamento economico attraverso l’analisi delle condizioni di concorrenzialità in cui essa opera e l’applicazione del test market/non market (o test del 50%). Il grado di concorrenzialità dei mercati in cui operano le specifiche unità istituzionali deve essere verificato mediante valutazioni qualitative che riguardano la struttura della domanda e dell’offerta, quali ad esempio le modalità di affidamento della concessione, le condizioni contrattuali di fornitura, il tipo di attività svolta.
Il test market/non market è funzionale alla distinzione tra produttori di beni e servizi destinabili alla vendita e produttori di altri beni e servizi non destinabili alla vendita e verifica in quale quota le vendite coprono i costi di produzione (compreso il costo del capitale) dell’unità istituzionale considerata. Qualora tale quota risulti inferiore al 50% per un congruo periodo di tempo, il test indica che l’unità opera come produttore di servizi non di mercato.
Questa dettagliata caratterizzazione delle modalità, delle motivazioni per cui l’ISTAT ha dovuto riportare le Rete ferroviaria Italiana nella Pubblica Amministrazione sono, quindi, considerazioni oggettive: da un lato il test market/non market ha fatto emergere che la distinzione tra produttori di beni e servizi destinabili alla vendita e produttori di altri beni e servizi non destinabili alla vendita dimostra che la quota risulta inferiore al 50% delle entrate sui costi per un congruo periodo di tempo, in realtà ha fatto emergere che Rete ferroviaria Italiana opera come produttore di servizi non di mercato.
Dall’altro il ritorno nella Pubblica Amministrazione impone una rilettura integrale delle modalità con cui annualmente viene prodotto il bilancio di RFI e le sue poste contabili, tra cui gli ammortamenti, ma anche l’obbligo di una contabilità per cassa e per competenza, preludio necessario alla vera spending review, cioè al definanziamento di investimenti assegnati ma non pagati ed alla “nazionalizzazione” nel senso della restituzione allo Stato dei ricavi da traffico esatti, in conto entrate come i circa 1,5 miliardi di euro prodotti dalla tariffazione d’uso della rete ogni anno; ed è a questo punto che sorge il dubbio della competenza in materia di regolazione dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti e se la prevalenza del controllo della contabilità, non più industriale e privatistica ma pubblica, non passi in modo esclusivo alla Corte dei Conti.Il controllo può essere esercitato tramite una combinazione di diversi strumenti, quali la proprietà del capitale sociale, i meccanismi di definizione degli organi di governo, un flusso significativo di finanziamento, il potere di determinazione delle decisioni strategiche; ma, a ben vedere, ciascuna specifica tematica ha, già a legislazione vigente, un proprio dominus e di conseguenza un possibile conflitto istituzionale su ogni singola tematica oggetto di regolazione di autorità diverse. Se queste considerazioni fossero ulteriormente approfondite emergerebbe un assetto completamente nuovo di Rete Ferroviaria Italiana, segnando il ritorno ai tempi della Legge 210 del 1985, nel momento in cui Rete ferroviaria Italiana ed il gruppo Ferrovie dello Stato erano un unico Ente Pubblico Economico, ma gli impatti del venir meno dell’autonomia manageriale e strategica di ciò che fino a ieri ritenevamo a tutti gli effetti una Società per Azioni, possono essere devastanti, soprattutto per gli impatti sulla Holding di Ferrovie dello Stato. Sorgono così subito cinque dubbi:
- Nel bilancio consolidato di FS Holding la somma dei “pesi” di RFI, ANAS e di qui a poco di Alitalia è ancora sostenibile? Ed a proposito di Alitalia l’acquisto da parte di Fs è un aiuto di Stato? Ed il destino che si sta prefigurando per RFI è quello di un ritorno ad essere non più una Spa ma una Direzione Generale del Ministero e quindi la nuova configurazione del Gruppo FS presupporrebbe di tenere Alitalia e rilasciare RFI?
- RFI nella PA è il preludio alla trasformazione della stessa in una sorta di Direzione generale del MIT, segnando così il ritorno ad un Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti con due direttori nazionali, uno per le strade ed uno per le ferrovie?
- Il “gigantismo” del Gruppo Ferrovie dello Stato avvenuto con l’acquisto di partecipazioni in società o l’acquisto di società non può più avvenire con la stessa immediatezza ed autonomia: si azzerano opportunità di investimento o si liberano quelle che possono sostenersi sui mercati procedendo così a forme di privatizzazioni indotte?
- Con RFI dentro la PA. Il Gruppo FS può continuare a permettersi l’accesso a forme di indebitamento con il ricorso al mercato dei capitali privati?
- Esiste ancora la possibilità di quotare in Borsa specifiche aree di business della Società?
In Rete Ferroviaria Italiana sono sicuro hanno compreso la rilevanza e la incisività di un simile provvedimento; il Governo forse ancora no!
Quindi il patrimonio di rfi torna ad avere natura demaniale?
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siamo tornati alla statalizzazione un pò di tutto: ferrovie, Cpd, Alitalia, municipalizzate dell’acqua. Il cambiamento è un balzo indietro di trent’anni
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