LE SENTENZE NON SI COMMENTANO, SI IPOTIZZANO LE CONSEGUENZE: IL CASO VIAREGGIO

La sicurezza del trasporto ferroviario è, dal momento della nascita delle Ferrovie 115 anni fa, un progetto condiviso con chi è deputato alla vigilanza degli impianti e delle reti ferroviarie, cioè lo Stato ed in particolare il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Norme, disposizioni, di esercizio, regolamenti di circolazione, prescrizioni di traffico, modelli di esercizio, sono gli strumenti con cui, da sempre, le ferrovie consustanziano il concetto stesso di sicurezza e lo fanno insieme ad altri soggetti istituzionalmente preposti a tutto ciò, come l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie, voluta con Decreto Legislativo nell’agosto 2007, a dimostrare che anche nella “provinciale” Italia, campione da sempre della sicurezza ferroviaria garantita dagli uomini e dalle intelligenze ferroviarie,  ci si poteva affidare ad organismi indipendenti per il controllo del processo di sicurezza del trasporto ferroviario .

Il compito congiunto, sia delle Ferrovie dello Stato che dell’organo preposto al controllo di quel processo, consiste nell’indagare la possibilità di manifestazione di eventi e di identificare le azioni comportamentali, normative, fisiche, infrastrutturali necessarie ad evitare un qualunque evento che potesse verificarsi nella circolazione sula rete di un qualunque carro ferroviario. Se un evento non è contemplato, non ha probabilità di manifestarsi e quindi semplicemente non può esistere e se non può esistere non ci sono azioni conseguenti ed il processo può essere considerato sicuro. Questa è la logica del processo di sicurezza e si chiama affidabilità dei processi produttivi.

E qui sta la colpa riconosciuta in capo ai vertici delle Ferrovie: nonostante l’inesistenza di una norma che obbligasse i responsabili delle Ferrovie a certificare ulteriormente una autocertificazione dei proprietari di un qualunque carro ferroviario, l’accusa ha comminato pene perché quei vertici non hanno posto in essere tutte le azioni necessarie ad impedire il verificarsi degli eventi anche impossibili. Una sorta di responsabilità di ultima istanza che deriva direttamente dall’essere vertice, qualunque sia il limite posto tra la possibilità e l’impossibilità.

Ecco perché con la sentenza di Viareggio tra le vittime c’è anche la credibilità dei processi, la necessità di prevedere l’impossibile anche ora, in questo momento in cui circola almeno un carro ferroviario sulla rete ferroviaria, di ripensare l’organizzazione del processo della sicurezza gestito dall’apposita Agenzia preposta proprio al controllo dei vincoli della sicurezza, di rivederne le responsabilità, i rischi ed i costi soprattutto umani dell’insicurezza.

Forse è arrivato il momento di chiarire non solo cosa debba intendersi per misure di sicurezza anche quando non contemplati, ma anche quanti debbano essere i diretti o indiretti responsabili nel controllo delle soglie di sicurezza. In questa griglia di responsabilità  compaiono a mio avviso:

Tabella SE

Questo quadro analitico delle responsabilità non esclude nessuno dalle possibili forme di coinvolgimento ma, al tempo stesso, non può addossare a nessuno di loro una responsabilità qualora l’evento non sia contemplato tra i “possibili”. Unica condizione quindi rimane solo la “ridondanza nelle condizioni preposte alla sicurezza”. Ma la ridondanza è legata alla discrezionalità di tutti i soggetti elencati nella tabella e tra di essi soprattutto tra coloro che condividono determinate soglie di copertura finanziaria, cioè il Ministro dell’Economia e delle Finanze ed il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ed è anche importante fissare a quale soglia finanziaria promessa, ma non erogata sia necessario fermarsi specialmente quando trattasi di eventi o imprevedibili o raramente verificabili.

La sentenza di Viareggio, indipendentemente da possibili considerazioni critiche, produce quindi un precedente: d’ora in poi la offerta ferroviaria diventa “insicura” anche se definita “più sicura”; non è un paradosso ma una chiara constatazione. Nessuno dei soggetti riportati in tabella diversi dai vertici è stato accusato e nessuno di quei soggetti potrà d’ora in poi sentirsi non coinvolto di fronte ad un disastro ferroviario.  La risposta sarà ed è la cosa ancor più grave, rincorrere standard di sicurezza sempre più sofisticati per sentirsi esenti da possibili responsabilità, lasciando inalterati i problemi la dove giacciono e in particolare nell’inattività degli organi ministeriali centrali. .

Questo in fondo è un ritorno al passato, un attacco deliberato all’innovazione tecnologica che accompagna da sempre lo sviluppo dei servizi ferroviari, ed è un modo per rendere più fragile il nostro Paese e annullare in tal modo tutte le certezze che una tecnologia avanzata come l’attuale aveva, proprio in questi ultimi venti anni, assicurato. Seminare insicurezza, facendola passare per obbligata correttezza procedurale renderà ancora economicamente più fragile il nostro Paese.

2 commenti

  1. Nel caso di infortunio sul lavoro,indipendentemente dalle cause e modalità con cui si sono svolti i fatti, la legislazione ed il giudice considerano comunque responsabile il vertice aziendale e lo dico per esperienza personale di quando ero Presidente di una cooperativa ortofrutticola.
    I FATTI Un camionista rimase schiacciato fra il retro del camion e la piattaforma di carico ed,in conseguenza delle fratture riportate, morì . Fu accertato,anche attraverso le registrazioni della scatola nera, che il camionista era sceso con il camion in moto, senza prestare attenzione ai segnali luminosi ed acustici che,in cabina, lo avvertirano che non poteva scendere senza aver prima spento il motore e frenato il camion.
    Gli accertamenti dimostrarono che:
    # l’autista aveva appena preso servizio;
    # il camion era nuovo e dotato di tutti i più modrrni requisiti di sicurezza;
    # la documentazione della sicurezza era completa ed esaustiva;
    # la formazione agli autisti veniva fatta regolarmente;
    # la sicurezza era un argomento di confronto con i rappresentanti dei lavoratori;
    # in sede civile la famiglia era stata adeguatamente indennizzata.
    In quanto Presidente della cooperativa (e non il Responsabile della sicurezza )fui processato e condannato in primo grado.
    Fui assolto in appello a Bologna soprattutto perché feci presente alla corte che, in passato avevo gestito la sicurezza ferroviaria nel compartimento di Bologna dove la sicurezza è un dogma e quindi non sapevo solo distinguere le mele dalle pere ma avevo alle spalle un patrimonio di sicurezza.
    Resta il principio che la legislazione punta i vertici aziendali per evitare, presumo, che il profitto vada a scapito della sicurezza di chi lavora e delle loro famiglie.

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