QUANDO TORNEREMO AD ESSERE UN PAESE NORMALE

Da quasi cinque anni è venuta meno ciò che era quasi una abitudine istituzionale, quella, in particolare, posseduta dai vari Governi che nel tempo si erano susseguiti fino alla fine del 2014 e rispettosa di un preciso rispetto di determinati passaggi nella gestione della cosa pubblica. Anche il trauma vissuto con il Governo Monti e il superamento non facile di una grave crisi economica, avevano sempre avuto un codice comportamentale coerente con i principi tipici di un Governo della nostra Repubblica; principi basati su tre distinte fasi strategiche: la intuizione programmatica, il supporto tecnico – economico delle scelte, la attuazione delle scelte  in un arco temporale ben definito. Dal 2015 si è volutamente distruggere questa naturale e normale liturgia. Negli anni 2015, 2016 e 2017 c’è stato solo un effetto di trascinamento di quanto definito nel Programma delle Infrastrutture Strategiche previsto e supportato dalla Legge Obiettivo. Le uniche risorse disponibili utilizzate erano, infatti, quelle delle Leggi pluriennali di spesa antecedenti al 2014 e con tali risorse è stato possibile completare l’asse autostradale Salerno – Reggio Calabria e l’asse ferroviario ad alta velocità Treviglio – Brescia e si sono continuati i lavori della metropolitana di Milano M4, della Linea metropolitana C di Roma, del Terzo Valico dei Giovi lungo l’asse ferroviario ad Alta Velocità Genova – Milano e dell’asse ferroviario del Brennero e avviati i lavori dell’asse AV/AC Napoli – Bari. Ma non abbiamo trovato nessun atto programmatico, nessuna nuova scelta, nessuna nuova copertura finanziaria. Tutti, invece, abbiamo assistito alla scelta del trasferimento delle risorse disponibili verso finalità prettamente assistenzialistiche come gli “80 euro” per i salari più bassi. In tal modo è iniziata, tra il 2015 e gli inizi del 2018, la triste fase del blocco degli investimenti in infrastrutture.

Il Governo ha dato subito la colpa ad uno strumento folle come il Decreto Legislativo 50/2016 (Codice Appalti) e qui prende corpo un grande paradosso: il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, cioè lo Stato, cioè colui che aveva redatto il provvedimento, lo ritenne, poco dopo il varo, carico di vincoli procedurali. In realtà abbiamo vissuto dal 2015 agli inizi del 2018 una vera azione autolesionistica: No alla Legge Obiettivo e Sì al Codice degli Appalti; cioè il Governo allontanandosi da ogni logica “normale” aveva scelto il blocco degli investimenti in infrastrutture ed il ritorno alla recessione.

Poi siamo entrati nella fase più preoccupante quella in cui è venuta meno del tutto ogni ipotesi riconducibile alla “normalità” ed ha preso corpo una cosa mai vissuta nella storia della nostra Repubblica: ha preso corpo lo strumento del “contratto”, ha preso corpo, cioè, una modalità tipica di chi preferisce sottoscrivere una sommatoria di compromessi e non una azione congiunta e condivisa per la gestione della cosa pubblica. Abbiamo vissuto così per quasi quindici mesi completamente avvitati su una precisa azione del Governo mirata a non “realizzare alcuna infrastruttura” in modo da mantenere un chiaro impegno che una parte della compagine di Governo, quella del Movimento 5 Stelle, aveva preso con il suo elettorato. Mentre l’altra compagine, quella della Lega, pur di ottenere l’approvazione di alcune norme come il Quota 100 e il decreto legge sulla sicurezza, si limitava solo a dichiarare la non condivisione sul blocco delle infrastrutture, ma nei fatti i due sottosegretari al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non erano neppure riusciti ad ottenere alcuna delega.

Questa, che non posso non definire una grave patologia di chi ha governato questo Paese in questi ultimi cinque anni, ha un costo misurabile nella struttura economica del Paese. Più volte ho ricordato, portando dati e ricerche supportate da vari organismi (dalla Banca d’Italia al Centro Studi della Confindustria, dalla Confetra all’Unioncamere) quale sia il danno creato dalla assenza di una adeguata rete infrastrutturale: il valore per il solo comparto della movimentazione delle merci si attesta su circa 56 miliardi di euro. Oggi però voglio aggiungerne un altro prodotto in questi giorni proprio dall’Unioncamere: l’interscambio commerciale del nostro Paese con i Paesi che insistono lungo la traiettoria del Corridoio Scandinavo . Mediterraneo (Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) nel 2018 è stato pari a 212.569 milioni di euro cui corrispondono 80.744 mila tonnellate trasportate via camion e via treno. Le esportazioni verso i Paesi dell’asse Scandinavo – Mediterraneo rappresentano in media il 5.8% del PIL. La strada incide per il 93% nelle esportazioni verso questi Paesi e la ferrovia per il 4%. La ferrovia non viene scelta perché inadeguata, in termini prestazionali e in termini di capacità. Ed ancora questa emergenza non si vive solo sull’asse mediterraneo – scandinavo, ma su tutti i corridoi che attraversano il nostro arco alpino. A tale proposito la ricerca dell’Unioncamere ricorda che nel 2017 le tonnellate complessive che hanno attraversato l’arco alpino sono state 216 milioni di tonnellate (due terzi hanno utilizzato la strada). Attraverso il Brennero 49 milioni di tonnellate. Nel 2018 sulla A22 (l’Autobrennero) sono transitate 8,5 milioni di autoveicoli e 2,4 milioni di mezzi pesanti. Io ricordo sempre, per misurare cosa sia stata la crescita della domanda di trasporto lungo l’arco alpino, quante erano le tonnellate di merce transiate nel 1967 (ultimo anno in cui abbiamo avviato i lavori per realizzare un nuovo valico), quell’anno le tonnellate furono pari a 19 milioni. Ho voluto soffermarmi su questi dati perché fin quando ci masturberemo con analisi costi benefici prodotte da un Governo che aveva volutamente annullato quelle tre obbligate fasi da me ricordate all’inizio, quando caparbiamente diremo NO perché in tal modo assecondiamo le correnti di una base, a mio avviso, eversiva e alla ricerca di un dissenso essenziale per motivare la propria esistenza, noi non solo non saremo un Paese normale ma :

  • renderemo inarrestabile la crescita del nostro debito pubblico
  • bloccheremo la crescita del nostro Prodotto Interno Lordo
  • distruggeremo in modo irreversibile il comparto delle costruzioni
  • rimarremo forse uno dei Paesi più manifatturieri della Unione Europea ma paradossalmente non saremo in grado di ottimizzare i vantaggi di una tale capacità, perché, purtroppo abbiamo deciso di non essere un Paese normale.

2 commenti

  1. Le grandi opere, se da un lato vengono viste come dei mostri utili solo a spillare denaro dalle casse statali a favore del clan criminale di turno, dall’altra sono un salvadanaio da cui attingere in caso di promesse elettorali spinte troppo in là. Alla fine, a vincere nel brevissimo termine é il mondo frammentato del trasporto su gomma, del piccolo spedizioniere, del padroncino preso per fame. Tutto questo mentre gli specialisti della logistica mondiale bussano a tutte le porte d’Europa con infrastrutture bell’e pronte, chiavi in mano pronto leasing…

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