In una intervista rilasciata a Simona Brandolini l’ex Ministro Claudio De Vincenti ha precisato tra l’altro: “la ripresa economica, civile e morale del nostro Paese passa necessariamente per l’interazione tra tutte le forze costruttive della società italiana del Nord e del Sud. Oggi abbiamo di fronte una occasione dovuta all’intersecarsi di due novità nel quadro politico ed economico internazionale: il bisogno ormai avvertito in gran parte d’Europa di un salto di qualità nella costruzione comunitaria, per una Unione che curi il futuro dei suoi giovani, una Unione quindi della coesione sociale e territoriale; l’emergere di una rinnovata centralità economica e politica del Mediterraneo nel quadro della riconfigurazione in corso nei rapporti economici globali. Insieme, queste due novità prefigurano un inedito interesse primario europeo a sviluppare i Mezzogiorni d’Europa, e l’Italia e il suo Sud devono saper cogliere questa opportunità. Il Piano del Sud deve basarsi sullo stimolo agli investimenti pubblici in infrastrutture e in tutela ambientale”. Sono dichiarazioni che con una semantica leggermente diversa sono state pronunciate nel tempo da Donato Menichella, da Gabriele Pescatore, da Giulio Pastore, da Pasquale Saraceno, da Ciriaco De Mita, da tutti coloro che nei vari ruoli e nei vari momenti storici della Repubblica hanno tentato di affrontare quella che ripetutamente chiamiamo “emergenza Mezzogiorno” e che finora siamo stati capaci di mantenerla tale nel tempo (di solito le emergenze terminano). Questa mia precisazione non intende affatto dire che Claudio De Vincenti ha praticamente ripetuto ciò che per ormai 70 anni (settanta anni) ci sentiamo dire da grandi meridionalisti, né vuole essere una critica sulla inutilità di un approccio pianificatorio più volte invocato e rimasto sempre atto cartaceo, invece il mio è solo un tentativo per ribaltare l’approccio: partiamo da un dato inequivocabile e cioè il Prodotto Interno Lordo pro capite. Un dato che a mio avviso misura due drammi:
- il limitato valore (18.000 euro rispetto a quello delle Regioni del Centro Nord che si attesta tra 34.000 e 41.000 euro9
- la variazione minima in oltre settanta anni di tale distanza (evitiamo le facili controdeduzioni: in passato era pari a 11.000 euro, perché in passato tante cose erano molto più critiche)
Di fronte a simili indicatori non c’è bisogno di atti pianificatori ma occorrono immediate azioni, immediate scelte strutturali; in particolare ne prospetto due:
- senza dubbio i collegamenti sia pubblici che privati allo stato sono ancora non comparabili con quelli offerti nel centro nord del Paese e quindi sia il costo dei carburanti, sia il costo dei servizi offerti dai gestori delle reti ferroviarie nonché quelli offerti dai gestori del trasporto aereo dovrebbero subire sia per il trasporto delle persone che delle merci un abbattimento di almeno il 20% per un arco temporale di cinque anni (un arco temporale per completare la serie di interventi infrastrutturali essenziali per garantire collegamenti comparabili con le aree del centro nord). Alla luce del numero di spostamenti attuali delle persone e delle merci siamo in grado di stimare un costo/anno per lo Stato di circa 2 – 3 miliardi di euro
- il costo del denaro non è inteso come valore ma come difficoltà all’accesso delle risorse. Un imprenditore del Mezzogiorno impiega mediatamente, per ottenere un prestito per una iniziativa imprenditoriale o per la continuità funzionale o per la reinvenzione di una attività, due – tre mesi e, cosa ancor più grave, con una sommatoria di atti e di documentazione tali da annullare l’interesse al tentativo di rilancio aziendale, al tentativo di diversificazione, ecc. Anche in questo caso lo Stato dovrebbe garantire queste operazioni assicurando il mondo bancario con un apposito fondo che annulli o ridimensioni questa criticità che senza dubbio risente del “brodo” malavitoso che caratterizza alcune aree del Mezzogiorno ma che non può ricadere su imprenditori efficienti e convinti delle enormi potenzialità offerte dal territorio meridionale.
Sono sicuro, come d’altra parte ho fatto prima nei confronti delle dichiarazioni del Professor De Vincenti, molti diranno che in più occasioni erano state prospettate queste soluzioni; in realtà nel modo “banale” come le ho esposte oggi non le ho trovate, ma la cosa grave è che simili proposte non sono state mai prese in considerazione perché incidere sulla spesa corrente è interessante solo quando è possibile ottenere un ritorno immediato in termini di consenso, quando è possibile diffondere “gratuite regalie” come gli “80 euro” o come “il diritto di cittadinanza”.
Né invochiamo però l’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea (TFUE), in quanto secondo alcuni la proposta potrebbe configurarsi come “aiuto di Stato”, infatti è sufficiente fare una semplice operazione di benchmarking e scopriremmo subito quante volte altri Stati dell’Unione Europea hanno ottenuto apposite autorizzazioni; è utile ricordare che gli aiuti sono sottoposti al controllo della Commissione, che li autorizza solamente quando rientrano in una delle deroghe previste dal trattato. Per l’applicazione della maggior parte delle deroghe la Commissione gode di un ampio poter discrezionale ma deve comunque motivare le sue decisioni. L’articolo 108, sempre del TFUE dispone che anche il Consiglio possa stabilire che un aiuto sia compatibile con il mercato interno e autorizzarlo, ma questo deve avvenire su richiesta di uno Stato membro, solamente quando circostanze eccezionali giustifichino una tale decisione.
Quindi i manifesti, i Piani straordinari, la miriade di norme come quelle relative alle ZES (Zone Economiche Speciali), la enorme convegnistica sul Mezzogiorno (nel 2018 si sono svolti 280 Convegni con la presenza di esponenti al massimo livello delle istituzioni locali e centrali), testimoniano, purtroppo, il perdurare, soprattutto negli ultimi cinque anni, di una triste strategia gattopardesca da parte di chi governa il Paese.