Ho sempre criticato le dichiarazioni tipiche di molti politici a valle di eventi che confermavano eventi dagli stessi previsti negli anni precedenti; dichiarazioni del tipo: “Io lo avevo detto”. Non ho mai condiviso simili atteggiamenti perché li ho ritenuti sempre inutili e quasi sempre autoreferenziali. In fondo prevedere e denunciare in anticipo un evento non è pura magia ma in molti casi è analisi corretta di un fenomeno obbligato. Io avevo denunciato tre anni fa insieme ad altri e poi due anni fa in un mio blog, che non c’erano le condizioni per mantenere in funzione l’impianto siderurgico di Taranto. Questa analisi, che non è da ritenersi difficile e sofisticata, era supportata da cinque motivazioni:
- La avanzata vecchiaia dell’impianto e l’elevato costo per riattivare e ammodernare gli elementi portanti del ciclo della produzione
- L’elevato costo sia per la messa in sicurezza dell’impianto, sia per il ridimensionamento dell’inquinamento atmosferico e della falda
- La difficoltà a raggiungere livelli di produzione elevati (almeno 10 milioni di tonnellate)
- La impossibilità di mantenere livelli occupazionali (una soglia massima non superiore alle 5.000 unità)
- La esigenza di eliminare integralmente il quartiere Tamburi e il quartiere Paolo VI
In realtà la produzione di acciaio in Italia non supera i 22 milioni di tonnellate e con tale dato emerge chiaramente che nel mondo non ricopriamo un posto ed un ruolo chiave, siamo infatti all’undicesimo posto in un sistema mondiale di produzione di acciaio così articolato:
Diventa quindi una corsa quasi da medagliere olimpionico quella che intendiamo fare per essere all’interno di un sistema di produttori che, in realtà, per oltre il 70% è all’interno di cinque Paesi e, all’interno di questi cinque Paesi, la Cina rappresenta oltre l’80%. Quindi mi sembrano anche patetici gli atteggiamenti di chi denuncia i rischi di un ridimensionamento della produzione di acciaio da parte del nostro Paese e mi sembrano davvero ridicole considerazioni tipo “non possiamo essere vincolati alla produzione di altri Paesi essendo noi un Paese che ha vaste industrie utilizzatrici di acciaio primario”, e anche dichiarazioni del tipo: “si rischia di chiudere il più grande impianto siderurgico della Unione Europea”. Sono dichiarazioni che, a mio avviso, sono superate, infatti il mercato dell’acciaio ormai non è legato alla ubicazione fisica di chi lo produce e anche il costo non risente di ricatti localistici, per quanto concerne poi la dimensione dell’impianto, si dimentica che alla dimensione fisica non fa più riscontro quella legata alla produzione; cioè alla dimensione di 15 milioni di mq. – dato che rende l’impianto il più grande della Unione Europea – non corrisponde più una produzione di acciaio superiore ai 10 – 12 milioni di tonnellate.
Ed allora prende corpo il convincimento che un impianto siderurgico, dopo un arco temporale di quaranta anni, va reinventato integralmente e che tale processo ha un costo così elevato da:
- imporre una copertura a fondo perduto dello Stato soprattutto per le opere di messa in sicurezza e di adeguamento ai vincoli ambientali
- imporre un serio approfondimento sulla possibilità di cambiare la ubicazione o di annullare tale attività produttiva identificando soluzioni alternative
Sicuramente continueremo a trattare ora con Arcelor Mittal, poi con altri possibili gestori; sicuramente il Governo rimetterà, per un arco temporale limitato, lo scudo penale, sicuramente il Governo stanzierà rilevanti risorse a fondo perduto per raggiungere un risultato davvero minimo e sempre precario, un risultato caratterizzato dai seguenti due dati:
5 mila occupati e 4 milioni di tonnellate all’anno di acciaio
Nella metà del 2017, cioè due anni fa, in un mio blog, avevo detto più o meno le stesse cose e la cosa triste è che fra due anni, se ancora sarò in vita, mi toccherà ridirle; non dirò come ho anticipato all’inizio la fatidica frase “io l’avevo detto” perché essendo pugliese e di una cittadina del territorio tarantino vivo questa grave esperienza, questa grave constatazione, cosciente del dramma che tante famiglie, che tanti lavoratori della mia terra dovranno vivere nei prossimi giorni, nei prossimi mesi, nei prossimi anni e, quindi, mi sento responsabile perché in passato e oggi, pur non rivestendo alcun ruolo, non ho cercato e non cerco di denunciare in modo più forte ed incisivo questa tragica evoluzione prospettando al tempo stesso le possibili riconversioni. Ho proposto la realizzazione di una grande piastra logistica, ho ipotizzato un centro universitario per l’intero Mediterraneo, ho ipotizzato la creazione di un grande centro mercato della filiera agro alimentare; lo so sono per ora solo provocazioni ma forse non accettarle e ritenere che l’unico risolutore del “dramma Taranto” sia il fattore tempo, sia cioè lo Stato che avremo domani o dopo domani, significa essere davvero, scusate il termine, “incoscienti”.
Sessanta anni sono tanti per tutti. Se si è in un mondo che cambia e si resta immobili
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si è finito di pensare,progettare e tutelare l’interesse Nazionale con la morte della c.d. Prima Repubblica.Dopo quella tragedia democratica solo macchiette
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