Il presente, il passato prossimo e il futuro sono i tre tempi verbali che, in fondo, caratterizzano le capacità, le volontà e le scelte di chi, in una determinata fase temporale, governa il Paese.
Il “primo tempo”, quello “presente”, di solito è adottato da chi ha la coscienza e la consapevolezza che l’elettorato non è disposto a credere a promesse, ad impegni che una volta denunciati non trovano poi una concreta attuazione in un misurabile arco temporale, specialmente quando simili impegni non sono supportati da riferimenti procedurali certi (approvazione dei progetti da parte degli organi preposti, avvio delle procedure per l’apertura dei cantieri quali quelle relative all’assurdo Codice Appalti, assenza di risorse certe specialmente in presenza di una logica quale quella legata alla disponibilità delle stesse per “cassa” e non per “competenza); ormai i cittadini nella più articolata catalogazione, anziani, maturi, giovani, pensionati, lavoratori, manager, studenti non sono più disposti a credere solo alla coniugazione “presente” e finalmente non sono più facilmente soggetti a illusioni o a false promesse. Aspettano e credono solo nella esplicita dichiarazione garantita dal secondo tempo quello del “passato prossimo”
Il “secondo” tempo, quello relativo al “passato prossimo”, sempre più raro è però ricco di tanti casi in cui il Governo di questa Repubblica ha raccontato di aver preso decisioni, di aver approvato iniziative, di avere, addirittura, sbloccate opere che poi nei fatti dopo un anno, dopo due anni, dopo tre anni, dopo quattro anni, dopo cinque anni si sono verificate non vere; solo a titolo di esempio ne elenco alcune:
- La continuità dei lavori del Terzo Valico dei Giovi sull’asse ferroviario ad alta velocità Genova – Milano
- L’asse ferroviario ad alta velocità Brescia – Verona
- Il completamento del Mo.S.E.
- La realizzazione dell’asse stradale 106 Jonica
- Il nodo ferroviario interrato di Firenze
- Gli interventi nelle periferie delle grandi aree urbane
- L’asse viario Ragusa – Catania
Potrei continuare elencando anche impegni denunciati come avvenuti in altri comparti come quelli industriali in cui in più occasioni l’allora Ministro dello Sviluppo Economico ci aveva informato di crisi industriali risolte come quello della Whirlpool e che invece risolte non erano.
Il “terzo” tempo, il “futuro” è il più amato specialmente dagli schieramenti che si sono succeduti nell’ultimo quinquennio. In realtà il futuro rappresenta la soluzione ottimale per trasferire nel tempo l’attuazione di impegni e di scelte progettuali. Il futuro però ha un grave difetto perché quando con il passar del tempo diventa “presente” allora produce un immediato crollo della fiducia e, al tempo stesso innesca un risultato: crea lo schieramento politico più consistente, quello di coloro che non votano e ritengono la politica come un prodotto negativo dell’attuale società. Questo grave risultato dovrebbe responsabilmente far meditare molto l’attuale classe dirigente dei partiti o degli schieramenti (lo so non è facile chiamarla classe dirigente vista la più volte misurata incapacità); un Paese però destinato a riempirsi di delusi, di “indifferenti” e di “rassegnati” non cresce.
Purtroppo continuiamo a giocare con questo utilizzo dei tempi verbali dimenticando che ogni atto programmatico serio risponde ad un preciso codice comportamentale, un codice comportamentale che fa corrispondere ad ogni decisione una immediata correlazione tra quanto detto e quanto concretamente avviato a realizzazione o fatto e quanto, attraverso una capillare e sistematica forma di controllo, realmente misurabile in termini di copertura finanziaria.
Invece è una abitudine diffusa “annunciare”, “raccontare i possibili interventi descrivendone le varie fasi di attuazione degli stessi”, “ripetere sistematicamente la ricchezza di coperture finanziarie disponibili magari dopo quattro cinque anni”, “garantire possibili cronoprogrammi che altri avranno modo di verificare”.
Sarebbe quindi opportuno ed utile, per chi è preposto alla gestione della cosa pubblica, utilizzare solo il “secondo tempo”, cioè raccontare solo ciò che si è fatto ed evitare di anticipare azioni e programmi o preannunciare azioni da fare in un futuro che nei fatti competerà ad altri gestire. Qualcuno obietterà precisando che in realtà è difficile modificare questo tipico DNA della politica, ma la politica, in modo particolare l’attuale, cerca sempre di denunciare un continuo impegno sui tre fronti temporali, e, cosa davvero preoccupante, i nuovi schieramenti ritengono che il mantenimento di un impegno anche se oggettivamente errato come, solo a titolo di esempio, “il reddito di cittadinanza” o “il quota 100”, rappresenti già un risultato positivo. Forse sarebbe opportuno modificare con la massima urgenza questo approccio irresponsabile e tornare ad essere più carichi di “coscienza di Stato”, più convinti che stiamo vivendo forse una delle fasi più negative della nostra vita sociale: per molto tempo abbiamo preferito essere spettatori e non attori di uno spettacolo che altri hanno sceneggiato assicurandoci che erano portatori del “cambiamento”. Purtroppo i cambiamenti avvengono solo attuando processi riformatori e non limitandosi ad annullare gli strumenti e le logiche che hanno caratterizzato il passato.
Triste storia ma tutta vera
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