PER LA SVIZZERA: IL TRAGITTO CASA – UFFICIO VALE COME ORARIO DI LAVORO. I REDATTORI DEL PIANO GENERALE DEI TRASPORTI ITALIANO L’AVEVANO PROPOSTO 35 ANNI FA

Accogliendo la richiesta dei quattro sindacati dei lavoratori svizzeri il governo di Berna ha dato il via libera al riconoscimento del tragitto casa – lavoro come orario di lavoro, al riconoscimento di una forma di flessibilità che, da tempo, in diverse forme, esiste già nel privato. I pendolari mediamente impiegano 62 minuti al giorno per andare e tornare dal lavoro. “Quanto deciso dal Governo – spiega in una intervista al quotidiano La Repubblica Sergio Rossi, ordinario di macroeconomia alla università di Friburgo – è il riconoscimento che sempre più dipendenti pubblici come d’altronde coloro che sono impiegati in alcuni comparti privati abitano lontano dal proprio luogo di lavoro. Nella società moderna è impensabile continuare a ignorare che questa distanza non è solitamente una libera scelta del lavoratore ma dipende dalla disponibilità di alloggi che abbiano canoni di affitto compatibili con i livelli stipendiali della pubblica amministrazione. E non è una questione di fiducia – continua ancora Rossi – poiché il datore di lavoro sa generalmente dove abitano i propri dipendenti, si tratta piuttosto di riconoscere che, per lavorare, quasi tutte le persone devono compiere un lungo tragitto”.

Questa decisione del Governo svizzero troverà una immediata soddisfazione in tutti coloro che nel 1984 (cioè ormai trentasei anni fa) furono coinvolti nella indimenticabile esperienza del Piano Generale dei Traporti; ormai i vari redattori di tale strumento pianificatorio sono rimasti in pochi (forse sono meno di dieci) e va loro dato atto della apprezzabile ed antesignana proposta che trovò subito un pieno interessamento dell’allora Ministro dei Trasporti Claudio Signorile e dei sette Ministri del Comitato preposto alla gestione dei lavori del Piano. Ricordo che furono definiti con il Sindacato e con il Ministero del Lavoro e della Funzione Pubblica sia la dimensione dei dipendenti pubblici coinvolti da una simile iniziativa, sia la articolazione delle modalità di controllo dell’ingresso dei singoli lavoratori sui mezzi pubblici; infatti la obliterazione del biglietto diventava automaticamente l’attestato di ingresso nella sede del lavoro. Nella serie di incontri e di audizioni con le parti sociali e con le varie Aziende (all’epoca le Ferrovie dello Stato e l’ANAS erano a tutti gli effetti organismi pubblici) non incontrammo sostanziali perplessità; in fondo tutti i responsabili del comparto pubblico ritennero che una simile iniziativa avrebbe creato vantaggi diretti ed indiretti sostanziali all’intero mondo del lavoro della pubblica amministrazione.

Il numero di fruitori di una simile iniziativa si stimava, all’epoca, intorno ad un valore pari a circa 3.200.000 unità e di tale numero circa un terzo era ubicato nelle dodici aree metropolitane del Paese. Ebbene una simile iniziativa avrebbe aumentato in modo sostanziale il numero di utilizzatori del trasporto pubblico sia nei collegamenti pendolari, sia all’interno delle grandi e medie realtà urbane e in tal mondo l’aumento della domanda di trasporto pubblico avrebbe ridimensionato il ricorso al trasporto privato e, quindi, si sarebbe ottenuto una riduzione dei consumi di carburante ed un abbattimento delle emissioni di CO2. Trentacinque anni fa il costo della mobilità per le famiglie si attestava già su un valore di circa 26 miliardi di euro l’anno (oggi tale valore ha raggiunto la folle soglia di 48 miliardi di euro l’anno) ed il costo da congestione nelle grandi e medie realtà urbane si attestava, sempre trentacinque anni fa, su un valore di 6 miliardi di euro (tale valore oggi ha superato i 14 miliardi di euro, solo l’area metropolitana di Roma ha raggiunto nel 2018 la soglia di 1,7 miliardi di euro). Quindi il bilancio globale della proposta risultava non solo interessante ma addirittura vincente in quanto regalava allo Stato una sommatoria di benefici diretti ed indiretti che sicuramente superavano la perdita di risultato prodotta dalle “due ore” trascorse dai dipendenti pubblici sui mezzi di trasporto. Ricordo che furono ampiamente dibattuti, soprattutto con il Ministro del Lavoro e con quello della Funzione Pubblica, le possibile differenze di trattamento tra coloro che risiedevano lontano dal posto di lavoro e quindi utilizzavano mezzi di trasporto pubblico e quelli che, risiedendo vicino alle sedi di lavoro,  non li avrebbero utilizzati.

Si effettuarono anche delle verifiche sulle varie tecniche e modalità di obliterazione e si definirono anche le forme di certificazione per chi disponeva di abbonamenti. Riporto questa serie di approfondimenti per testimoniare quanta attenzione era stata posta ad una simile idea e quanta convenienza lo Stato aveva intravisto in una simile iniziativa. Si tenne conto anche delle anomalie di un Paese in cui anche trentacinque anni fa era abbastanza conosciuto il fenomeno dei “furbetti del cartellino” e, sempre attraverso il Ministero della Funzione Pubblica, si definirono proposte normative che rendessero più pesanti le possibili pene legate al tentativo di infrazione con il possibile ricorso al licenziamento. Questo lungo itinerario, questi ampi coinvolgimenti di più soggetti faceva ben sperare in una positiva conclusione della intera iniziativa che, ritengo utile ribadire, si configurava a tutti gli effetti ricca di una interessante organicità in quanto non si limitava a rendere vantaggioso l’accesso ai luoghi del lavoro ma direttamente ed indirettamente incideva sul bilancio dello Stato e sull’abbattimento dell’inquinamento atmosferico. Invece tutta questa carica di lungimiranza crollò di fronte alla non condivisione della proposta da parte del sistema assicurativo; in realtà l’arco temporale trascorso fuori dalla sede lavorativa non poteva essere coperta da assicurazione a meno che non fosse stato implementato il premio assicurativo. Un incremento che purtroppo portò al rinvio della proposta. Oggi forse, alla luce non tanto del costo annuale delle famiglie per la mobilità ma per il forte onere legato alla congestione nelle aree urbane, lo Stato potrebbe riaffrontare tale tematica e superare anche questo vincolo posto dal sistema assicurativo. In questo caso penso abbia senso una attenta “analisi costi benefici”.

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