Finalmente sono disponibili i dati della stasi nell’utilizzo delle risorse comunitarie con grandi auto apprezzamenti soprattutto da parte delle Regioni per aver raggiunto l’obiettivo di spesa necessario per evitare il disimpegno da parte della Unione Europa e in questo contesto bisogna dare atto al Ministro Provenzano che con la sua dichiarazione “Nessuna esultanza, il rispetto delle scadenze deve diventare normale. Non dobbiamo rincorrere l’emergenza” ha voluto far intendere sia all’organo centrale (i vari Ministeri tra cui in particolare il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), sia all’organo locale (le Amministrazioni regionali) che la gestione di tali risorse in passato è stata, per quanto sottoscritto, assurda e che ci aspetta un futuro davvero impossibile, con l’obbligo di attivare una spesa annuale, negli anni 2020, 2021, 2022 e 2023 superiore ai 9,5 miliardi di euro, avendo come riferimento un passato in cui, in cinque anni, si sono spesi appena 8 miliardi di euro.
Cercando di conoscere i dati che, proprio in questi ultimi due anni, sono stati in più occasioni utilizzati per testimoniare una validità dei Ministeri competenti e delle Regioni nell’attivazione delle spese comunitarie si evince quanto segue.
I finanziamenti del Programma Operativo Regionale (POR) e nazionali (PON) coperti in buona parte dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e del Fondo Sociale Europeo (FSE) per il periodo 2014 – 2020, grazie alla regola conosciuta come N + 3 che consente di utilizzare i fondi entro tre anni dall’impegno a bilancio (per quanto dirò dopo è utile ricordare la frase “impegno a bilancio”), le spese potranno essere certificate alla Commissione europea entro la fine del 2023. Il quadro dei dati riportati ultimamente da Il Sole 24 Ore identifica due voci: “dotazione” e “certificato”, sotto la voce “dotazione” vi è il valore dello stanziamento definito nel 2014 dalla Unione Europea di intesa con il nostro Paese pari a 53.239 milioni di euro, mentre sotto la voce “certificato” c’è un importo pari a 15.187, 7 milioni di euro; questo ultimo importo è relativo agli “impegni contrattualmente definiti” e non come erroneamente viene spesso riportato “impegni erogati”. Infatti, le risorse realmente spese, come da me detto in precedenza, non superano l’importo di 8 miliardi di euro. Porto solo alcuni esempi che da soli testimoniano come, negli ultimi cinque anni, la macchina dello Stato, sia centrale che locale, sia praticamente rimasta bloccata:
Prendendo solo alcuni esempi legati essenzialmente a realtà del Mezzogiorno si evince in modo inequivocabile che nell’ultimo quinquennio non abbiamo utilizzato ben 20 miliardi di euro e di quel valore contrattualmente impegnato forse siamo riusciti a spendere 3 miliardi di euro. Chi ha governato in questo ultimo quinquennio a scala nazionale e locale ha privato il Mezzogiorno di una crescita di un Prodotto Interno Lordo superiore all’1,5 %.
Di fronte a questa ultima elencazione di risorse comunitarie non è possibile non richiamare quanto già riportato in precedenza ad ottobre 2019 in merito all’intervento del Direttore Generale della Direzione delle Politiche Regionali dell’Unione Europea Marc Lemaitre a Palermo all’Assemblea delle Regioni periferiche della Unione Europea; in quella occasione Lemaitre ha precisato “Spesso ci sentiamo dire che la politica di coesione non produce nulla di positivo per lo sviluppo del Mezzogiorno, ma voglio richiamare l’attenzione sulla consistente riduzione degli investimenti nazionali al Sud fino al punto da neutralizzare e rendere vano lo sforzo europeo nelle politiche regionali nel Mezzogiorno”. Sempre Lemaitre ha ricordato che “tra il 2014 e il 2017 l’Italia si era impegnata a realizzare investimenti nel Sud per un importo pari allo 0,47% del Prodotto Interno Lordo delle Regioni del Mezzogiorno, ma non siamo andati oltre lo 0,38% (più del 30% in meno). A fine programma la Commissione potrà decidere di operare una correzione, cioè un taglio dei fondi”. Quindi alla lentezza della spesa va aggiunta anche la volontà del Paese ad assicurare la quota nazionale di tali programmi.
Questa incapacità operativa e questa non disponibilità a garantire sistematicamente la quota nazionale diventano proprio in questi prossimi giorni ancora più preoccupante: in questo mese diventerà operativa la fase in cui i vari Paesi della Unione definiranno il Programma 2021 – 2027.
La situazione è monitorata con attenzione dalla Direzione Generale Politiche regionali della Commissione europea che all’inizio di novembre 2019 in occasione della riunione annuale con le Regioni e il Governo a Trieste aveva espresso le proprie preoccupazioni per la lentezza con cui l’Italia spende i fondi strutturali europei; una percentuale di spesa tra le più basse dell’intera Unione
Non possiamo più non affrontare una simile grave emergenza; è necessario, proprio in questa fase in cui lo Stato si accinge o almeno dovrebbe accingersi a definire i Programmi nazionali e regionali FESR e FSE 2021 – 2027, elencare e cadenzare formalmente le scelte programmatiche e le relative coperture; non è più possibile, come fatto finora, raccontare dati non veri sulla reale spesa del Programma 2014 – 2020, né elencare impegni di spesa per il Programma 2021 – 2027 nelle future Leggi di Stabilità per assicurare la quota nazionale di tale proposte. Lo so è un momento della verità che dà fastidio soprattutto a coloro che negli ultimi cinque anni hanno preferito utilizzare le risorse solo ai fini elettorali, dà fastidio a coloro che nell’ultimo quinquennio hanno praticamente “bruciato” un volano di risorse annuali superiore mediatamente a 12 miliardi di euro per garantire gli “80 euro”, il “reddito di cittadinanza” e il “quota 100”.
Sì forse divento noioso nel ricordare sempre queste drammatiche negatività dei Governi che si sono succeduti ma proprio in questi primi mesi del 2020 queste negatività stanno esplodendo e non sarà facile restare indenni da una azione critica formale e pesante della Commissione Europea.
Il debito pubblico e la incapacità alla spesa dei Programmi comunitari possono accelerare un intervento diretto nella gestione del Paese da parte della Commissione Europea; a tale proposito l’ex premier Monti, durante il suo intervento al Senato nella discussione generale sulla fiducia al Governo Conte, ha lanciato un monito: “per evitare l’umiliazione della Troika (l’organo composto da rappresentanti di Bce, Fmi e Commissione europea) mostrate più umiltà e realismo nei confronti del Paese”. Questo rischio, definito dallo stesso Monti una emergenza disgustosa, si avvicina sempre più.
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