Supponiamo che tutto avvenga nel rispetto dei tempi definiti nell’ultima riunione dei Presidenti dei Paesi della Unione Europea, diamo per scontato, cioè, che l’Italia sia in grado di presentare un quadro completo di proposte mirate ad ottenere le risorse contemplate nel Recovery Fund e supponiamo che tutto possa essere attivato entro il 31 dicembre 2021 e supponiamo anche che finalmente il Paese, dopo cinque anni di blocco immotivato e incomprensibile, ritrovi le condizioni per riattivare l’intero comparto delle costruzioni. Chiediamoci, però, se questo encomiabile risultato possa poi trovare come organismi responsabili sia nella attuazione che nella gestione delle opere proposte gli attuali Dicasteri, le grandi Aziende come l’ANAS e le Ferrovie dello Stato, le Regioni e le aree metropolitane. Ci convinceremmo subito della necessità di individuare un organismo autonomo che risponda, in modo organico ed unitario, a tutti gli impegni che lo Stato italiano assumerà, entro il mese di ottobre, con la apposita Commissione a ciò preposta dalla Unione Europea. Appare evidente che senza un organismo unico catalizzatore di tutte realtà infrastrutturali diventa quasi impossibile garantire non solo l’avvio concreto dei progetti ma anche i relativi crono programmi.
Ci chiediamo infatti come possa essere possibile che l’intero programma sia garantito, caso per caso, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dalle Ferrovie dello Stato, dall’ANAS, dalle Concessionarie autostradali, dalle Regioni, dalle grandi aree metropolitane ecc. e, soprattutto, come possa essere canalizzato, per ogni singola realtà preposta alla spesa. l’intero volano di risorse messo a disposizione dal Recovery Fund. Allo stato questo approccio non credo sia condiviso da nessuno dei possibili organismi titolari delle proposte progettuali e sono sicuro che non sarà facile modificare questo atteggiamento perché da sempre i singoli organismi hanno ritenuto i capitoli di spesa allocati all’intero delle Leggi pluriennali di spesa come diretta competenza della singola amministrazione preposta all’utilizzo delle risorse stesse.
È strano che esista, all’interno della pubblica amministrazione, questa inconcepibile correlazione tra dimensione finanziaria del proprio budget gestionale e la rilevanza strategica del proprio ruolo; questa è una vecchia ed obsoleta mentalità che è essenzialmente legata alla tecnica con cui ogni anno il Ministero dell’Economia e delle Finanze distribuisce le risorse per la realizzazione di infrastrutture all’interno della Legge di Stabilità ed è questa la rincorsa sistematica ad ottenere più risorse disponibili, è questo il tentativo sia degli organismi pubblici che dei soggetti politici di accumulare destinazioni di risorse per determinate aree territoriali del Paese, risorse che nei fatti spesso non vengono neppure utilizzate, tutto questo è la vera causa che deforma integralmente la ottimizzazione della spesa pubblica. Una spesa pubblica che non può e non deve rendere forte il detentore del montante delle risorse perché in fondo alla Pubblica Amministrazione o alle grandi aziende o agli enti locali interessa il risultato ed il vero “potere” penso debba essere ricercato solo nella capacità di: redigere progetti difendibili, ottenerne l’approvazione tecnica ed amministrativa in tempi certi, dimostrare la giusta correlazione tra il valore dell’opera e la relativa copertura, assicurare nel tempo una corretta utilizzazione dell’opera stessa. Il soggetto catalizzatore invece ha un solo obbligo: dare forza e consistenza procedurale e realizzativa alla sommatoria delle proposte che direttamente o indirettamente sono parte integrante di un action plan che diventa tessera di quel mosaico che, a livello europeo, definiamo Recovery Plan.
Questo obbligato percorso non può in nessun modo essere vissuto diversamente, né ha senso pensare che un soggetto catalizzatore rappresenti un doppione o un inutile interlocutore utile solo per offrire spazi dirigenziali o spazi di potere aggiuntivi o, addirittura, antitetici a quelli già esistenti; questa errata interpretazione potrebbe essere smontata facilmente leggendo gli indicatori della spesa delle singole amministrazioni: scopriremmo che esiste grande efficienza ad istruire i progetti, ad ottenere le varie autorizzazioni, ad effettuare le gare ma poi tutto rimane fermo per tanti motivi che nella maggior parte dei casi sono legati a contenziosi che invalidano ogni forma concorsuale. In fondo quasi sempre scattano due tranquillità: per l’amministrazione cui compete la gestione della intera operazione è sufficiente raggiungere l’iter approvativo dell’opera, per il politico è sufficiente l’allocazione delle risorse. Questo atteggiamento è sicuramente la causa principale della stasi nella realizzazione delle infrastrutture; la Legge 443/2001 (Legge Obiettivo) aveva capito questo grave handicap ed aveva invocato lo strumento della Intesa Generale Quadro tra l’organo centrale e l’organo locale, tra Stato e Regioni, uno strumento che si configurava come un vero rogito in cui venivano indicati i crono programmi di ogni singolo intervento e la possibilità dell’organo centrale di rivedere le varie allocazioni in caso di mancato adempimento da parte delle Regioni stesse. Forse questa corretta modalità è stata alla base di un immediato azzeramento della Legge Obiettivo nel 2015.
Grazie Giuseppe
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