LA MANCATA INFRASTRUTTURAZIONE DELLE AREE CENTRALI DEL PAESE ALLONTANA LA CRESCITA DEL MEZZOGIORNO

In sei anni di assenza di interventi strategici adeguati da parte dei Governi che si sono succeduti nelle Regioni del centro abbiamo creato nel Paese un secondo Mezzogiorno. Mi riferisco, in particolare alle Regioni Toscana, Lazio, Umbria e Marche. Sono quattro Regioni che, per quanto concerne le infrastrutture, sono ferme a scelte della Legge Obiettivo definite nel 2012, avviate proceduralmente o, addirittura, con alcuni lotti già realizzati, e poi, per sei anni, dal 2014 ad oggi, ferme.

Mi riferisco all’autostrada Tirrenica, in particolare al tratto Cecina – Civitavecchia ed al tratto che dallo svincolo di Fiumicino prosegue per Tor de’Cenci e si aggancia al tratto della Pontina e della Cisterna – Valmontone, in tal modo si crea un continuum con l’autostrada A1, un asse che scarica in modo rilevante il Grande Raccordo Anulare di Roma attualmente già saturo.

Mi riferisco all’autostrada dei Parchi (A24 – A25) che dopo il terremoto del 2009 aveva ricevuto apposite risorse per la messa in sicurezza di alcune parti dell’intero tracciato e per l’avvio di una rivisitazione funzionale dell’intera arteria.

Mi riferisco all’asse autostradale Orte – Mestre, un project financing dell’importo di circa 10 miliardi che garantisce anche la messa in sicurezza e la riqualificazione dell’attuale asse E 45, una proposta progettuale approvata dal CIPE e rimasta dal 2014 ad oggi solo una proposta.

Mi riferisco al sistema viario definito “Quadrilatero Umbria Marche”; progetto previsto dalla Legge Obiettivo in gran parte realizzato però ancora non completo, infatti il raddoppio della SS76 (tratto che rende fluido il collegamento tra Perugia ed Ancona) è ancora in fase di realizzazione.

Mi riferisco, per quanto concerne invece le reti ed i nodi ferroviari e metropolitani, alla velocizzazione, sia al quadruplicamento, sia all’adeguamento delle sagome   dell’asse ferroviario nel tratto adriatico da Bari fino ad Ancona, al nodo ferroviario ad alta velocità di Firenze fermo da sei anni, all’anello ferroviario di Roma, alla linea metropolitana C sempre di Roma.

Mi riferisco, infine, agli interventi sui porti di Civitavecchia, di Piombino, di Fiumicino, di Gaeta.

In realtà, questa lungimirante storia di infrastrutturazione organica che la legge Obiettivo aveva definito attraverso il Programma delle Infrastrutture Strategiche, è rimasto solo un disegno programmatico, un disegno supportato finanziariamente ma rimasto tale; purtroppo un volano di circa 28 miliardi di euro di interventi non si è trasformato in opere compiute e in tal modo il Prodotto Interno Lordo del centro del Paese non è cresciuto per oltre il 2%. Ma, indipendentemente dal dato legato al PIL e di quello legato al sistema occupazionale (oltre 230.000 posti di lavoro diretti ed indiretti persi), il fattore più negativo di una simile assenza di interventi infrastrutturali è da ricercarsi nel crollo della continuità funzionale tra il Mezzogiorno ed il Nord; cioè, sia nei collegamenti longitudinali, sia in quelli trasversali, il Centro del Paese si caratterizza come un’area cerniera tra il Nord ed il Sud e, quindi, ogni mancato intervento in tale vasto ambito territoriale, ogni mancata fluidificazione di determinati nodi stradali e ferroviari, crea un vero trombo sulle arterie chiave che rendono funzionale e sistematico ogni possibile rapporto Nord – Sud – Nord.

Questo blocco di sei anni è ormai un danno che ha lasciato dei segni indelebili sulla crescita dell’intero Paese ed è una constatazione che dobbiamo affrontare proprio in questa fase in cui, finalmente, stiamo affrontando il Recovery Plan rispettando la grammatica della “organicità”, quella grammatica voluta dalla Unione Europea e che impone una visione completa delle esigenze del Paese e delle possibili soluzioni concrete.

La geografia gioca un brutto scherzo: la evoluzione longitudinale dell’intero Paese e la concentrazione della forza e degli interessi economici nell’area settentrionale e la mancata infrastrutturazione dell’area centrale, ha ulteriormente relegato il Sud in una preoccupante area di stagnazione irreversibile. Ed allora dovendo in questi giorni, come detto prima, produrre delle proposte per la definizione del Recovery Plan riteniamo fondamentale evitare un approccio che non tenga conto di questo muro invalicabile, di questo muro sommatoria degli interventi non realizzati nel centro del Paese. Questo modo di lavorare nella definizione del Recovery Plan, tra l’altro, risponde alla volontà della Unione Europea, di Unione Europea che vuole proposte coerenti con una logica di Paese slegata da forme di ghettizzazione, da forme di articolazione capillare e provinciale delle scelte.

Sembra strano ma, lavorando in questo modo, diamo un supporto strategico nuovo, un supporto strategico di ampio respiro per la crescita organica dell’intero Mezzogiorno.

Come sarebbe stato bello se nel 2014, quando le Regioni del Mezzogiorno affrontarono e definirono il Programma di utilizzo del Fondo Coesione e Sviluppo 2014 – 2020, quando definirono il Programma Operativo Nazionale (PON) e il Programma Operativo Regionale (POR), ci fosse stato un chiaro e contestuale apprezzamento sia delle opere ubicate nel Sud, sia di quelle già inserite nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo e già approvate ed avviate nel Centro del Paese. Oggi forse chiederemmo risorse per realizzare altre infrastrutture, oggi forse non solo si sarebbero accorciate le distanze ma sarebbe stato possibile ridimensionare quegli indicatori che, anno dopo anno, stanno facendo aumentare il numero delle Regioni e delle aree del Mezzogiorno; se non cambiamo in modo sostanziale approccio fra pochi anni, forse fra soli cinque anni, il Centro Sud sarà il nuovo Mezzogiorno.

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