Come riportato dal quotidiano “Il Foglio”, pochi giorni fa, i numeri sono impressionanti: i flussi della logistica intorno a Milano coinvolgono 1.301 imprese (su 17 mila nel settore trasporti e logistica a scala nazionale), con 95.000 addetti e un business da 22 miliardi. A Milano ci sono 4,6 miliardi di affari per gli autotrasportatori, su un totale di 8,7 miliardi in quella che possiamo definire la “regione logistica” che include la Lombardia e gli ambiti di Piacenza e di Novara. Il riferimento portante di questa esplosione si chiama Amazon. Nel 2020 la Camera di Commercio di Milano con il supporto dell’associazione lombarda degli spedizionieri e degli autotrasportatori e in collaborazione con la Università Cattaneo di Castellanza ha effettuato una ricerca che ha messo in luce le criticità percepite dal mondo imprenditoriale: per il 31% delle aziende della logistica ci sono troppi problemi infrastrutturali, per il 29% i costi sono elevati (tasse incluse), per il 21% la burocrazia è soffocante. Le sfide principali per oltre il 50% sono l’informazione, i dazi, le guerre internazionali, la evoluzione del mercato con nuove imprese, la sostenibilità ambientale con il passaggio all’elettrico e la sostenibilità sociale con mancanza di autisti specializzati.
Questo interessante polmone di criticità e di misurabile crescita è presente però in modo ormai sempre più consolidato non nel Centro Nord, ma in una sola regione del Centro Nord: la Lombardia. E il Mezzogiorno attualmente trova degli impegni formali, presi dal Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili Enrico Giovannini e dalla Ministra del Mezzogiorno Mara Carfagna, basati essenzialmente su un banale e interessante nominalismo chiamato Zona Economica Speciale; è già sufficiente solo un esempio per dimostrare quanto sia perdente sin dall’inizio un simile strumento; in particolare il caso Sicilia: in Sicilia, entro il 2021 saranno istituite e rese operative due ZES, per un totale di 5.118 ettari in 43 aree dichiarate idonee dalla commissione di valutazione. Le aree individuate godranno di importanti benefici fiscali e semplificazioni amministrative, capaci di attrarre anche investimenti dall’estero. I benefici economici delle ZES sono previsti dal decreto legge Mezzogiorno n. 91/2017 e vedono notevoli incentivi fiscali più credito d’imposta per gli investimenti e un consistente regime di semplificazioni che saranno stabilite da appositi protocolli e convenzioni. Tra i benefici concessi ci sono credito d’imposta per l’acquisto di beni fino a 50 milioni di € a condizione che le imprese mantengano le attività nella ZES per almeno cinque anni successivi al completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti, inoltre, esse non devono essere in liquidazione o in fase di scioglimento.
Le aree sono:
– ZES Sicilia occidentale con i comuni di Caltavuturo, Palma di Montechiaro, Misilmeri, Salemi, Campofelice di Roccella, Custonaci, Ravanusa, Calatafimi, Cinisi, Gibellina e Serradifalco
– ZES Sicilia orientale con i comuni di Avola, Militello in Val di Catania, Carlentini, Vittoria, Francofonte, Solarino, Scordia, Floridia, Vizzini, Acireale, Rosolini, Pachino, Troina, Lentini, Palazzolo Acreide, Ragusa, Niscemi, Gela, Mineo e Messina
– ZES Sicilia altre aree individuate sono tre aree portuali (Porto Empedocle. Porto dell’Arenella di Palermo, Porto di Augusta) e due aree industriali (Consorzio ASI di Caltagirone e la zona di San Cataldo Scalo insieme alla zona industriale di Calderaro nel Comune di Caltanissetta
Cioè nella sola Sicilia ci sono ben 36 aree elette a ZES, in tutta la Unione Europea le aree elette a ZES sono solo 91.
Già questo dato dimostra la completa deformazione del concetto ispiratore delle stesse ZES e, al tempo stesso, rende davvero priva di organicità e di immediata incisività l’azione stessa dello strumento. Ricordo inoltre che il criterio generale, secondo le norme europee per la concessione di aiuti alle aree ZES, comprende le circostanze secondo le quali le agevolazioni da concedere in determinate Regioni possono essere riconosciute solo: per la creazione di un nuovo stabilimento o per l’ampliamento della capacità di uno stabilimento esistente; per la diversificazione della produzione di uno stabilimento esistente per ottenere prodotti mai fabbricati prima; per un cambiamento fondamentale del processo di produzione complessivo di uno stabilimento esistente.
Inoltre, il richiedente deve contribuire con fondi propri per almeno il 25% dei costi ammissibili dell’investimento.
Quindi questa iniziativa non la si può ritenere adeguata se contestualmente, come indicato dalla Ministra Carfagna, non prende corpo una organica implementazione ed un misurabile sviluppo dei sistemi intermodali composti da porti-retroporti-interporti, insieme con gli aeroporti, le piattaforme logistiche e gli altri hub. Secondo la Ministra la chiave del funzionamento delle Zone Economiche Speciali è legata a questa azione contestuale. Le ZES funzionano solo in presenza di una collaborazione tra il decisore politico, l’industria e le parti sociali e, al tempo stesso, lo sviluppo della logistica passa solo grazie ad investimenti pubblici e semplificazioni amministrative, come l’attuazione dello sportello unico doganale, o come lo sviluppo dei servizi avanzati a sostegno degli operatori economici.
Quindi due prime critiche ad una iniziativa che viene lanciata come vincente per il rilancio del Mezzogiorno e, già in partenza, non adeguatamente valida sia per il numero di aree, sia per la esigenza di una rete logistica efficace ed efficiente. In merito proprio alla logistica questa va supportata nella sua funzione di leva di competitività: le aziende italiane, soprattutto meridionali, decidono purtroppo di aggirare le disfunzioni della logistica, determinate dalle carenze infrastrutturali, e di delegare “chiavi in mano” l’intera catena di distribuzione al compratore straniero, con la modalità cosiddetta “ex works”. Il risultato: il nostro tessuto produttivo perde il controllo della supply chain, con esiti penalizzanti sulle politiche di prezzo. Il successo dei marketplace, come Amazon e Alibaba, dimostra come la piena integrazione di venditore e catena di distribuzione rappresenti un modello di business imprescindibile; la logistica a valore aggiunto ne rappresenta il cuore. Ulteriore esito negativo dell’ex works è la perdita di gettito per il sistema-Paese: viene infatti alimentato il traffico degli scali di Paesi concorrenti che, per il principio dell’imposizione IVA nel Paese di destinazione dei beni, trattengono parte dell’aliquota spettante all’Italia. Il Ministro Enrico Giovannini conscio del rischio che di ZES, soprattutto nel Mezzogiorno, si continui solo a parlare senza ottenere nessun ritorno consistente, ha ribadito che il nuovo Piano integrato della logistica e dei trasporti dovrà essere sviluppato di pari passo con il Piano nazionale per l’energia e clima. La transizione ecologica rappresenta infatti, per la logistica, un costo strutturale. Un’idea di decarbonizzazione che passi quasi esclusivamente per lo spostamento su rotabili del traffico merci su gomma presenta molte criticità, come i tempi lunghi richiesti per la realizzazione delle opere ferroviarie. Non meno costosa per la logistica è la movimentazione ro-ro, che prevede che il trasporto su gomma proceda via mare, con l’imbarco dei camion sui traghetti. La movimentazione ro-ro è infatti proficua solo laddove gli scali marittimi siano prossimi agli hub logistici; diversamente, conviene procedere via terra. Tuttavia, la missione 3 del PNRR risulta fortemente orientata a una migrazione spinta del traffico merci dalla gomma al ferro. Ebbene, mi spiace essere ancora una volta critico ma questa continua ricerca programmatica, questa continua modalità di “approfondire” tematiche note e finora affrontate solo in modo teorico, non è più condivisibile. Dobbiamo compiere un vero atto di umiltà: imitare le esperienze effettuate dagli altri Paesi della Unione Europea e cercare di imitare quelle ZES realizzate negli altri Mezzogiorni di Europa; se non lo facciamo cresce Amazon e Alibaba, cresce solo la Regione logistica richiamata all’inizio e, cosa grave per il Paese, si consente la crescita, come ripeto sempre, del Prodotto Esterno Lordo (PEL) e non del Prodotto Interno Lordo (PIL).
Grazie Giuseppe
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