Dal 24 febbraio di questo anno è cambiato per tutti i Paesi della Unione Europea l’approccio alle politiche energetiche ed in modo particolare la intera Unione Europea si avviava, sempre più convinta, verso la transazione verde basata su due distinti obiettivi: aumentare il tasso di penetrazione di energia elettrica nei consumi europei (oggi la elettricità ferma al 20% dei consumi energetici finali totali) e soddisfare, sia il vecchio bisogno di elettricità sia la necessaria nuova produzione aggiuntiva, con le rinnovabili.
Non entro nel merito della dimensione utopica della ipotesi programmatica e mi chiedo come mai l’attuale Ministro Cingolani non si sia accorto almeno di alcuni elementi che rendevano davvero ingestibile la operazione: mi riferisco a quanto sollevato ultimamente da Chicco Testa e cioè allo stato delle reti, al costo di produzione idrogeno, ecc. Si assiste davvero ad una corsa verso la più pericolosa improvvisazione. Senza dubbio non è responsabile l’attuale Governo e tanto meno l’attuale Ministro Cingolani sulle scelte compiute in passato sulla sudditanza del Paese da un numero limitato di fornitori di energia e d’altra parte nessuno prevedeva una guerra o, peggio ancora di una invasione militare della Russia nei confronti della Ucraina, ma indipendentemente da eventi imprevedibili e fino al 24 febbraio scorso ritenuti utopici, la sudditanza da pochi fornitori sicuramente prima o poi sarebbe stata una inevitabile causa di ricatto nei prezzi e, soprattutto, nelle quantità. Inoltre una cosa che in tutti gli anni passati è mancata nel nostro Paese è il ricorso, nel campo energetico, alla strategia più vincente e cioè a quella legata al “contenimento dei consumi”.
In realtà è mancato un Piano Energetico Nazionale che mettesse al primo punto la ottimizzazione dell’uso delle risorse energetiche. Per anni abbiamo tentato di trasferire su ferro e su reti metropolitane la mobilità dell’intero Paese e per anni le percentuali per il trasporto sia delle merci che delle persone sono praticamente rimaste uguali e, cosa ancor più grave, è che queste soglie percentuali basse (12 – 13% delle merci su ferrovia in Italia) sono scese anche in altri Paesi della Unione Europea (la Germania è passata dal 25 % degli anni ’80 al 14 – 16%). Lo stesso livello non esaltante lo viviamo nel trasporto delle persone; senza dubbio negli ultimi venti anni c’è stata una crescita nella offerta di reti metropolitane: siamo passati, grazie alla Legge Obiettivo, dal 2000 ad oggi da una offerta di reti metropolitane di 53 Km ad una offerta di oltre 220 Km che nell’arco dei prossimi tre anni dovrebbe raggiungere i 300 Km.
Siamo ancora lontani da una offerta di trasporto passeggeri sia all’interno delle aree urbane che nelle interazioni tra territorio e città attraverso il pendolarismo, capace di ridimensionare, in modo sostanziale, il ricorso al trasporto privato; un trasporto privato che rappresenta un costo annuale folle per le famiglie italiane oltre 11 miliardi di euro; a tale costo bisogna aggiungere quello relativo alla congestione ed all’inquinamento che nel 2019 (prima della pandemia) aveva superato i 3,8 miliardi di euro.
Quindi senza dubbio è valida l’attenzione all’approvvigionamento ed alla possibilità di abbandonare sia i fornitori classici che la tipologia delle forniture ricorrendo alle energie rinnovabili ma non sottovalutiamo anche quanto sia essenziale ottimizzare l’utilizzo delle risorse e la ottimizzazione delle modalità di utilizzo.
Ma sarebbe bene anche seguire attentamente ciò che sta succedendo nel comparto delle rinnovabili, il Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani ultimamente ha fatto presente che il ritmo dei permessi e più che doppio rispetto a quello degli ultimi due anni. Tuttavia dopo tre Decreti di semplificazione l’ultima asta per l’accesso agli incentivi è stata una vera delusione: assegnato poco più del 10%.
E fa davvero paura il dato: sono stati assegnati 444 megawatt contro i 3.555 offerti. Fa ancora più paura il confronto con quanto avvenuto in atri Paesi della Unione Europea: in Germania, in Portogallo ed in Francia c’è stato il tutto esaurito. Il motivo di una simile preoccupante bassa partecipazione secondo gli operatori del settore è da ricercarsi nell’assenza di un quadro normativo certo; precisa in proposito il Direttore del settore reti ed energia di Utilitalia Mattia Sica: “Una cosa è scrivere una norma, altra cosa è mettere a terra i nuovi iter confrontandosi con Regioni, Comuni e Comitati”.
Non possiamo non ricordare anche delle anomalie davvero preoccupanti quali la esclusione dei progetti agrivoltaici dalla possibilità di partecipare alle aste, cosa assurda se si tiene conto che proprio i progetti agrivoltaici sono quelli che hanno incassato la spinta autorizzativa dall’inizio dell’anno; in particolare una parte rilevante dei 200 progetti presentati dall’inizio dell’anno al Minsero della Transizione Ecologica da parte delle Regioni Campania e Puglia riguardano impianti eolici o fotovoltaici su terreni agricoli. E qui scatta la triste logica kafkiana che spesso caratterizza i nostri Ministeri: il Decreto Semplificazioni 2021 ha di fatto rimosso il divieto a partecipare alle aste per il fotovoltaico agricolo ma manca ancora una normativa che definisca con precisione cosa si intenda per agrivoltaico.
Ho voluto segnalare queste lungaggini e queste anomalie solo per far presente che forse siamo lontani dai tempi annunciati sia dal Ministro Cingolani che dal Presidente Draghi. Cingolani ha detto: “L’obiettivo, sarà raggiunto “nella metà del 2024”, quando si dispiegheranno gli effetti delle norme sui rigassificatori inserite nel decreto Aiuti”. In particolare il processo di affrancamento energetico da Mosca ha assicurato sempre Cingolani dovrebbe essere garantito da due rigassificatori, uno dovrebbe arrivare “a inizio 2023”, l’altro verso la fine dello stesso anno. Si riuscirà così, assicura il Ministro, a rimpiazzare i 29 miliardi di metri cubi di gas che al momento sono importati dalla Russia.
Ma su questa tematica, quella legata ai rigassificatori è esplosa una tipica forma di rincorsa tutta italiana ad averne uno nella propria Regione, nel proprio ambito territoriale quasi che tali impianti fossero motori di ricchezza. I due prima richiamati andranno a Ravenna e a Piombino
Il Governo intende puntare anche su altre zone. Una è quella di Porto Empedocle, Sicilia, dove dovrebbe nascere “un terminale di rigassificazione” che consentirà alla Sicilia di “ricevere navi gasiere” e di dare “flessibilità di fornitura di gas”. Il progetto è finanziato con un miliardo di euro, la capacità della struttura dovrebbe raggiungere gli 8 miliardi di metri cubi di gas. Se Enel ha progettato il rigassificatore siciliano, Sorgenia e Iren hanno invece pensato a quello che dovrebbe arrivare a Gioia Tauro, Calabria. A fine marzo il progetto ha ottenuto l’autorizzazione.
Centrale nel percorso italiano verso l’indipendenza energetica dovrebbe poi essere la Sardegna. Lo scorso 31 marzo il premier Mario Draghi ha firmato il DPCM “Sardegna”, dove – tra le altre cose – si prevede di portare due navi metaniere e un impianto di rigassificazione. I due porti designati per le navi sono quelli di Portovesme (provincia di Carbonia-Iglesias), che dovrebbe avere una capacità di stoccaggio adeguata a servire il Sud industriale e la Città metropolitana di Cagliari, e quello di Porto Torres (Sassari), adatto a servire il Nord industriale e la sua provincia di riferimento. Nell’area portuale di Oristano dovrebbe invece nascere un impianto di rigassificazione – progettato da Edison e dalla capacità di circa 20mila metri cubi – capace di servire le zone limitrofe. La struttura ha ricevuto il Nulla Osta alla fine dello scorso anno.
Ripeto una vera corsa di impegni e di promesse; siccome trattasi di impegni e di promesse per ora pensiamo ad ottimizzare subito i consumi perché il crollo degli approvvigionamenti fa davvero paura.