Il giorno 29 dicembre il professor Sabino Cassese in un suo articolo ha stigmatizzato il logorio del rapporto tra Governo e Parlamento, precisando in particolare che “esiste una mentalità populistica che mette l’enfasi sul Paese piuttosto che sul Parlamento. Si tratta di una tendenza profonda, di una vena populistica che percorre la politica contemporanea, che porta in primo piano il dialogo con il Paese piuttosto che con i suoi rappresentanti nelle Camere. Questo produce – sempre secondo il Professor Cassese – una scissione tra modello parlamentare (il Governo è figlio del Parlamento e risponde ad esso) e realtà (il Governo cerca nel Paese la sua investitura). E, sempre il professor Cassese ricorda che “questa crisi relazionale si evince proprio dal dibattito sul bilancio di previsione dello Stato che una volta si svolgeva in una apposita lunga sessione, nel corso della quale ciascun Ministro doveva illustrare la propria tabella di spese”. Questa constatazione che, a mio avviso, priva il nostro Paese di un rapporto democratico tra esecutivo e legislativo diventa ancora più preoccupante se si tiene conto di alcuni nuovi elementi che caratterizzano il nuovo Parlamento:
Il numero di parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori, e quindi di un ridimensionamento sostanziale delle rappresentatività delle varie realtà territoriali del Paese
L’ormai sistematico numero di Decreti Legge, l’attuale Governo in soli due mesi ne ha già approvati dieci
La corsa frenetica nel recuperare il tempo perduto in un periodo lungo di oltre due anni e mezzo e quindi una completa sottovalutazione di possibili indicazioni del nuovo assetto parlamentare
La difficile formazione delle nuove Commissioni e l’anomalo rapporto tra le Commissioni ed il Governo
La naturale incapacità dei nuovi parlamentari eletti nel redigere gli emendamenti; questa senza dubbio era ed è un fenomeno quasi fisiologico che avviene ad ogni avvio di nuova Legislatura che in questo caso però assume un rilievo particolare sia per il limitato tempo per approvare la manovra entro il 31 dicembre, sia perché si apre una Legislatura con una dominanza dello schieramento di destra mai avuto
Potrei continuare ad elencare e a sostenere quanto denunciato in modo encomiabile dal professor Sabino Cassese in merito al rapporto tra esecutivo e legislativo tuttavia ritengo opportuno soffermarmi su un altro elemento che, soprattutto in questa nuova Legislatura, diventerà sempre più rilevante e, al tempo stesso, anche preoccupante: mi riferisco al ruolo delle Regioni. Di fronte ad un Governo più interessato ad interagire con il Paese e a ricorrere ai processi mediatici diretti per implementare il proprio consenso, temo che gli schieramenti politici presenti all’interno delle realtà regionali e gli stessi Governi regionali siano pronti a diventare concorrenti e ad usare le stesse logiche mediatiche per dimostrare il proprio ruolo e le proprie capacità con la base elettorale.
In questo nuovo confronto forse le Regioni potrebbero anche essere più ascoltate e più apprezzate dalla base elettorale e, addirittura, lo scontro tra organo centrale ed organo locale vedrebbe vincente l’organo locale perché più informato delle reali esigenze di determinate realtà territoriali.
Senza dubbio questo segnale di interesse a svolgere un ruolo nuovo, un ruolo forte e determinante emerge dalla ampia trasversalità con cui le Regioni stanno chiedendo la istituzione di forme di autonomia differenziata.
Abbiamo detto in più occasioni che questa esigenza, questa riforma sostanziale del ruolo delle autonomie regionali potrà prendere corpo solo a valle di una organica ed equilibrata attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e solo dopo aver ridimensionato il folle gap esistente tra Centro Nord e Sud in merito al reddito pro capite (36.000 euro nel Centro Nord e 17.000 nel Sud). Ma non possiamo, ripeto proprio in questa nuova fase della Legislatura ed in questa ormai consolidata abitudine a riconoscere un ruolo ed un rapporto diretto tra Governo e territorio, sottovalutare la crescita delle Regioni di diventare loro gli interlocutori più diretti e più adatti a comprendere, ad affrontare ed a risolvere le problematiche e le emergenze dell’intero Paese.
In questo, come abbiamo ribadito più volte, le otto Regioni del Mezzogiorno se capissero che una politica congiunta condivisa avrebbe reso più incisivo, non solo il ruolo e le funzioni delle singole Regioni del Sud, ma avrebbe evitato, negli otto anni di vuoto del Governo nei confronti dell’intero sistema territoriale del Sud, una completa atarassia ed un completo disinteresse per quelle criticità del Mezzogiorno completamente ignorate sia dal Governo che dai rappresentanti eletti in Parlamento.
Torna quindi a mio avviso la gara tra parlamentare nazionale e consigliere regionale, tra Ministro e Assessore regionale; torna, addirittura, una gara nel dimostrare le reciproche responsabilità ed i reciproci meriti, torna la gara a varare norme e strumenti efficaci. Se tutto questo fosse vissuto in modo corretto, se tutto questo, nel caso del Sud, trovasse una unica grammatica ed un’unica linea strategica, allora, a mio avviso, si rafforzerebbe ulteriormente la democrazia del Paese; invece, purtroppo, tutto questo non produce una crescita delle realtà locali e le Regioni, in particolare, i membri delle singole Regioni cercano solo di dimostrare quanto gli schieramenti locali siano più utili e più incisive di quelle presenti in Palamento.
Per questo motivo il Governo farebbe bene ad interagire di più con il Parlamento ed a riconoscere, agli schieramenti presenti al suo interno, il ruolo chiave per la crescita o la decrescita del Paese e questo non per ridimensionare le singole Regioni ma per evitare che si assista, nel tempo, a forme esasperate di provincialismo e a forme pericolose di discutibile autonomia.
Questa è l’ultima pervenuta. Chiedevo perché sospesa. Leggo da OPINIONE, ma era comoda l’email.
Ringrazio
Ing. Fabio CESETTI >
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