Abbiamo, proprio in questi primi mesi di attività della nuova Legislatura, preso atto di una serie di verità quali:
Il fallimento concettuale del PNRR e del PNC
Il dramma della mancata spesa delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2014 – 2020 e del mancato avvio del Programma del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027
L’assenza di una politica della nostra offerta portuale nell’intero Mezzogiorno
L’assenza di una politica adeguata nel trasporto delle nostre aree metropolitane
Una possibile scarsità di risorse nell’assestamento del bilancio da approvare entro il prossimo 30 giugno.
Il fallimento concettuale del PNRR e del PNC
Cominciamo con il fallimento del PNRR e del PNC ed in questa analisi dobbiamo anche riconoscere la chiara incapacità di chi ha gestito la “cosa pubblica” nella ultima Legislatura. Purtroppo abbiamo dato una immagine di efficienza del nostro Paese nel dare avvio alle riforme contenute nel PNRR ma non abbiamo fatto partire quegli interventi che dovevano essere l’obiettivo che la Unione Europea perseguiva sin dall’inizio e cioè: l’avvio della spesa, l’avvio concreto delle opere e, soprattutto, un motivato e misurabile rilancio del Sud. A tale proposito, ancora una volta, dobbiamo ricordare, ed in questo il Commissario Gentiloni sin dall’inizio è stato chiaro, che: “il nostro Paese ha ottenuto un supporto finanziario a fondo perduto e a prestito agevolato grazie alla situazione critica, in termini socio economici, proprio del Mezzogiorno”. La Unione Europea era stata chiarissima precisando che non si trattava di un merito di uno schieramento politico, non si trattava di un merito di alcuni membri di un Governo ma solo di una motivazione oggettiva ampiamente supportata da una emergenza che superava i confini nazionali e rivestiva una dimensione comunitaria. Purtroppo dopo tre anni dall’approvazione del PNRR e del PNC stiamo tutti capendo che, almeno alcuni ambiti programmatici, avevano concepito un processo pianificatorio che, pur ricco di risorse, pur ricco di finalità motivate, non possedeva due condizioni chiave volute dalla stessa Unione Europea:
la organicità delle proposte
la capacità di attivare la spesa
A mio avviso è apprezzabile, come tra l’altro ho ricordato in una mia ultima nota, il comportamento dell’attuale Governo che non ha fatto una simile denuncia, una simile contestazione trasferendo questo fallimento alla incapacità di chi ha governato nella passata Legislatura ma ha invece cercato di reinventare l’intero impianto programmatico cercando di chiarire alla Unione Europea che la organicità fallita nella impostazione iniziale può essere superata attraverso due nuove linee strategiche:
Un approccio non più rivolto ad un unico strumento, quello del PNRR e del PNC, ma aperto a tutti i vari filoni programmatici letti e condivisi a scala comunitaria
Una disponibilità a costruire subito le condizioni necessarie per dare avvio concreto al Repower; in tal senso si sta già muovendo il Ministro Fitto per trasferire in tale Piano progetti del Fondo o addirittura del PNRR che potrebbero contare di un respiro temporale più lungo (2029 e non 2026)
Questo primo impegno, tra l’altro, fra meno di un mese diventerà parte integrante del Documento di Economia e Finanza (DEF) che il Governo approverà e trasmetterà al Parlamento nei primi giorni di aprile. Quindi, come ho ribadito pochi giorni fa, sarà possibile che un fallimento diventi motivo di rilancio di una linea strategica che, purtroppo, per molto tempo era rimasta solo una buona intenzione.
Il dramma della mancata spesa delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2014 – 2020 e del mancato avvio del Programma del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027
In merito alla presa d’atto della stasi prolungata sia nell’utilizzo delle risorse del Fondo di Coesione e Sviluppo 2014 – 2020 che del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027, forse sarà bene effettuare un chiarimento dettagliato su ciò che ancora chiamiamo PON (Programmi Operativi Nazionali) e ciò che chiamiamo POR (Programma Operativi Regionali), su ciò che, proceduralmente, si è rivelato solo dannoso e, nella maggior parte dei casi, incapace di rendere complementari ed interagenti le scelte dell’organo centrale con quelle dell’organo locale. È triste ma questa denuncia di grave incapacità è stata sollevata non solo nella passata Legislatura ma, addirittura, è emersa sin dal 2002, cioè da quando, dopo la Legge Obiettivo del 2001, furono prodotte le prime Intese Generali Quadro al cui interno tra Stato e Regioni si tentò di dare avvio ad una lettura unitaria e funzionale tra gli interventi del PON e quelli del POR; tutto questo quadro di impegni però, nella maggior parte dei casi, è rimasto solo una “pura intesa”, una pura disponibilità e basta. Va dato atto che la causa di una tale discrasia va addebitata alle Regioni che hanno inteso i POR linee programmatiche di loro competenza esclusiva e quindi intoccabili ed immodificabili. Penso, quindi, che il primo atto debba essere quello di dare vita ad un immediato confronto tra lo Stato, le Regioni ed i Comuni attraverso il quale fare emergere le distanze ed i possibili accordi pianificatori. Non sarà facile ma è bene che gli Enti locali sappiano che in tal modo si va verso la perdita delle risorse. In questo confronto è bene che lo Stato ricordi che una percentuale rilevante delle risorse dei Fondi (il 50%) è garantita dall’organo centrale e, quindi, sarebbe perdente per gli Enti locali non essere disposti ad un corretto ed apprezzabile compromesso.
L’assenza di una politica della nostra offerta portuale nell’intero Mezzogiorno
Sull’assenza di una adeguata offerta infrastrutturale della nostra portualità meridionale ho già più volte comparato l’azione encomiabile di tre porti del Mediterraneo come Algesiraz, Valentia e il Pireo che in soli sei anni sono riusciti a passare da una movimentazione globale di 4 milioni di TEU ad oltre 15 milioni di TEU ed una contestuale stasi di tre porti come Cagliari, Augusta e Taranto che nello stesso periodo hanno assistito ad una movimentazione globale non superiore a 300.000 TEU. Le motivazioni sono tante; spesso ho ricordato che una delle cause è da un lato la mancata autonomia gestionale di tali impianti e dall’altro la mancata disponibilità a costruire una unica società. Ma un altro motivo è da ricercarsi anche nella non disponibilità dello Stato, come ho precisato pochi giorni fa, a ridimensionare il costo del lavoro di tali piastre logistiche, sì effettuando forse anche forme di dumping ma non si può assistere a concorrenze sleali senza ricorrere a forme che, quanto meno, cercano di ridimensionare il danno che queste realtà portuali vivono ormai da decenni. La Unione Europea aprirà, come tra l’altro già fatto, la procedura di infrazione per aiuti di Stato e noi ci difenderemo elencando ciò che sistematicamente avviene in una miriade di porti della Unione Europea.
L’assenza di una politica adeguata nel trasporto delle nostre aree metropolitane
In merito all’assenza di una politica adeguata della gestione della mobilità nelle nostre aree metropolitane ricordo che è davvero inconcepibile che la incidenza del costo della mobilità, soprattutto nelle aree metropolitane, incida per oltre il 35 – 40% sul bilancio delle famiglie ed è contestualmente assurdo che lo stanziamento nel bilancio ordinario per la costruzione di reti di trasporto su guida vincolata (reti metropolitane) sia annualmente non superiore al miliardo di euro e, cosa ancor più grave, una simile scelta abbia praticamente reso attrezzate, anche se parzialmente, solo 7 realtà urbane come Torino, Milano, Brescia, Bologna, Roma, Napoli e Catania. Cioè dovremmo avere il coraggio, non solo attraverso il PNRR ed i Fondi di Sviluppo e Coesione, di dare avvio ad un programma pluriennale di interventi e di risorse capace di costruire nelle nostre aree urbane offerte di trasporto pubblico in grado di abbattere sia i forti ed insostenibili costi delle famiglie, sia il tasso di inquinamento che anno dopo anno sta imponendo blocchi alla mobilità sistematici. Per affrontare una simile emergenza abbiamo anche una prima stima: dovremmo inserire nelle nostre Leggi di Stabilità un volano sistematico di almeno 3,5 miliardi l’anno per una simile finalità.
Una possibile scarsità di risorse nell’assestamento del bilancio da approvare entro il prossimo 30 giugno.
In merito alla quinta emergenza faccio presente che proprio in questi giorni abbiamo appreso il seguente comunicato della Unione Europea: “Le politiche di bilancio degli Stati della Unione Europea nel 2024 dovranno garantire sostenibilità del debito a medio termine e promuovere crescita sostenibile e inclusiva. Queste saranno le linee guida della Commissione per i bilanci dei Paesi UE dopo che a fine anno sarà disattivata la clausola di uno stop del Patto di stabilità. A maggio la Commissione darà le raccomandazioni ai Paesi affinché gli obiettivi dei loro programmi siano coerenti con l’obbligo di garantire che il debito pubblico/PIL sia avviato su percentuali di riduzione sostanziali”. Questo penso sia un altro non facile tema e, al tempo stesso, credo costituisca un ulteriore bagno di verità su un modello finanziario che forse ci aveva quasi convinti che si potesse non ritenere determinante la forte incidenza del nostro debito pubblico. In fondo è come se finisse una abbastanza lunga fase comportamentale del nostro rapporto con il debito.
Queste cinque emergenze testimoniano che per molto tempo non ci è stato consentito di conoscere la verità, non c’è stato consentito di prendere atto di un comportamento privo di ciò che una volta chiamavamo “Coscienza dello Stato”.
bravoooooooooo
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