SONO UTILI I MEMORANDUM OF UNDERSTANDING, SONO FONDAMENTALI LE INTESE MA EVITIAMO CHE I BENEFICI VENGANO UTILIZZATI DA ALTRI

Senza dubbio è apprezzabile la iniziativa svoltasi a Roma sulla ricostruzione della Ucraina ed è anche interessante apprendere che l’incontro abbia visto una partecipazione istituzionale al massimo livello. Tuttavia, vorrei fare alcune considerazioni solo per mettere in evidenza i rischi e le possibili delusioni che tanti Memorandum of Understanding hanno poi prodotto. Vorrei, quindi, ricordare almeno quelli che, in modo più evidente, ci hanno lasciato con l’amaro in bocca.

Comincio con il Canale di Suez: nel 1985 la Segreteria Tecnica del Piano Generale dei Trasporti insieme ad una delle Società che aveva collaborato alla redazione del Piano, in particolare la SNAM Progetti, dette vita ad un progetto di fattibilità avanzato dell’allargamento del Canale di Suez. L’Italia e l’Egitto, dopo una serie di incontri tecnici ed istituzionali, ritennero valida la proposta progettuale e sottoscrissero, a valle anche di un accordo con la Banca Mondiale, un apposito protocollo d’intesa che avrebbe reso possibile la concreta realizzazione dell’opera. Alla fine degli anni ‘90 l’Autorità che gestisce il Canale dette l’incarico ad un’altra Società e nel 2014 si avviarono i lavori di ampliamento che non videro il coinvolgimento di imprese italiane. Oggi l’allargamento del Canale è una realtà ed il nostro Memorandum of Understanding è rimasto solo un interessante ricordo e, al tempo stesso, una presa d’atto di quanto sia essenziale essere molto concreti nella sottoscrizione di accordi internazionali.

Nel 1985 approfittando dell’ingresso della Grecia nella Unione Europea l’allora Ministro del Mezzogiorno Claudio Signorile ed il suo omologo greco Christos Scremennos sottoscrissero un protocollo di intesa per la realizzazione di un corridoio marittimo, ferroviario e stradale tra Taranto – Brindisi – Igoumenitsa – Vólos. Venne redatto un progetto di fattibilità avanzato; con tale proposta si intendeva anche lanciare il porto di Vólos in quanto tale impianto rappresentava il punto più ad est della intera Unione Europea. L’impegno reciproco era quello di coinvolgere imprese italiane e greche. Negli anni ’90 ed in parte negli anni ‘2000 molte opere sono state realizzate ma gli impegni assunti in quell’accordo non sono stati mantenuti

Poi c’è il caso dell’IRAQ in cui l’Italia ha redatto nel 2003 il Piano Generale dei Trasporti; un lavoro prodotto da un Consorzio formato dalle Ferrovie dello Stato, dall’ANAS, dall’ENAC e dall’ENAV. Tale impegno progettuale si è svolto in un periodo ancora caratterizzato da attività belliche. Tra le opere proposte nel Piano una rivestiva una grande valenza strategica caratterizzata, in particolare, da una rivisitazione del porto di Bassora e da un asse stradale e ferroviario che da Bassora raggiugeva Bagdad e proseguiva fino a Mossul e attraverso la Turchia raggiungeva il Corridoio 10 delle Reti TEN – T, cioè raggiungeva il cuore della Europa centrale. Il porto di Bassora, quindi, diventava in tal modo un polo aggregante delle merci provenienti dall’area asiatica e dirette al centro dell’Europa evitando il transito attraverso il Canale di Suez. Un Consorzio di imprese italiane nel 2011 con il supporto del nostro Governo si rese disponibile a realizzare un simile progetto. Dopo la sottoscrizione di diversi protocolli di intesa tutto è rimasto un interessante progetto

Altro interessante intervento ricco di protocolli di intesa e di Memorandum of Understanding è quello relativo alla ristrutturazione funzionale del porto di Bar e della realizzazione dell’asse ferroviario Bar – Belgrado. Gli accordi tra il Governo italiano e quello Montenegrino prevedevano anche che il progetto dell’asse ferroviario venisse redatto da Italferr. Il porto invece sarebbe stato oggetto di un apposito project financing. Anche in questo caso dopo circa dieci anni dalla sottoscrizione degli accordi l’adeguamento del porto e l’asse ferroviario Bar – Belgrado sono passati nella gestione del Governo Russo mentre l’autostrada Bar – Belgrado, di cui l’Italia aveva solo prodotto uno studio di fattibilità, è in corso di realizzazione da parte del Governo cinese

Un intervento che invece transitò da una iniziativa bilaterale ad una scelta della Unione Europea è il collegamento tra il porto di Brindisi e Bari e Durazzo ed il collegamento tra Durazzo e Varna. Sin dal 2001, ancor prima che le Reti TEN – T fossero definite, il Governo italiano sottoscrisse con i Governi albanese e bulgaro un apposito accordo per la realizzazione di tale Corridoio ed in particolare le parti decisero che alla realizzazione delle opere (essenzialmente stradali e portuali) avrebbero partecipato anche imprese italiane. Nel 2005 la Unione Europea riconobbe la validità della proposta però non la inserì nelle Reti TEN – T perché l’Albania non era nella Unione Europea. L’Italia però continuò a seguire tale intervento fino alla fine del 2010. Poi tutto è rimasto un interessante intervento strategico soprattutto perché il collegamento Durazzo – Varna era ed è, a tutti gli effetti, un canale secco tra il Mar Nero e il Mar Mediterraneo.

Altro caso davvero incomprensibile è quello relativo all’asse ferroviario ad alta velocità Gibuti – Addis Abeba. Anche in questo caso sin dal 2002 ci sono stati una serie di protocolli di intesa tra i Governi etiopi, italiani e gibutiani; dopo queste sottoscrizioni la Società Italferr redige prima il progetto di fattibilità poi il progetto definitivo. Nel 2010 il Governo cinese diventa interlocutore unico con i due Governi africani e realizza l’asse ferroviario progettato da noi. Cioè ancora una volta si è ripetuto un caso analogo agli altri descritti prima.

Potrei continuare ad elencare tante esperienze, tanti interventi progettualmente interessanti anche per l’entusiasmo che hanno innescato in tutti coloro che, nelle varie fasi storiche, li hanno portati avanti e li hanno anche definiti sia dal punto di vista tecnico – ingegneristico che finanziario. Mi fermo qui perché ritengo che sia davvero triste per chi ha creduto in tali progetti vederli realizzare da altri e, ancora peggio, considerarli solo come una interessante esercitazione pianificatoria.

Sono però convinto che quanto si sta facendo per la ricostruzione della Ucraina non seguirà questa triste conclusione e questo perché:

Tutti i Pasi della Unione Europea vorranno essere attori nel processo di ricostruzione e, quindi, anche l’Italia ricoprirà un ruolo chiave non solo per l’impegno profuso finora in questa triste fase bellica ma anche perché sin dalla definizione delle Reti TEN – T l’Italia ha sempre difeso la essenzialità del Corridoio Lisbona – Kiev (oggi Algesiraz – Kiev); l’Italia ha sempre ritenuto la Ucraina una tessera della Unione Europea

Questo Governo rimarrà in carica per cinque anni e, quindi, non potrà concludere la Legislatura con un mancato coinvolgimento del nostro Paese in una simile operazione strategica

Sarà sempre più forte il convincimento della rilevanza del Mar Nero e per questo il nostro Paese non può assolutamente non essere coinvolto direttamente nella gestione della portualità ucraina

Per questo ritengo che forse sarebbe opportuno avanzare, da subito, una proposta incisiva, una proposta caratterizzata da un action plan, cioè da un disegno programmatico supportato anche da un apposito Piano Economico Finanziario. Sin da ora, solo a titolo di esempio, potrebbe prendere corpo una iniziativa mirata alla realizzazione di almeno sei HUB logistici in cui garantire sia la movimentazione delle merci durante la fase di ricostruzione, sia durante la fase in cui la Ucraina tornerà ad essere una Nazione sicura ed industrialmente avanzata. Dovrebbe quindi nascere un apposito Consorzio di operatori pubblici e privati che con il supporto di un apposito Fondo ottenga una concessione per costruire una simile iniziativa. Proponendo un simile action plan eviteremmo forse di rimanere legati solo a semplici promesse.

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