Di solito attribuiamo a coloro che gestiscono la pubblica amministrazione di alcuni Paesi europei delle specifiche caratteristiche, dei connotati comuni: i francesi preparati e carichi di professionalità, i tedeschi maniacalmente attenti al contenimento della spesa pubblica e, quindi, vere eccellenze nella definizione di scenari legati all’incremento delle attività produttive, gli spagnoli lenti nel processo di cambiamento ma coerenti nella difesa delle proprie autonomie, per noi italiani la definizione più coerente e più corretta è, a mio avviso, quella di “improvvisatori”.
Improvvisatori da sempre; sì anche quelli che riteniamo oggi più preparati e più capaci nella gestione della cosa pubblica e diretti attori e responsabili delle scelte strategiche degli anni ’60, ’70 e ’80, si anche loro, e direi soprattutto loro, erano degli improvvisatori. Avevano, però, un grande ed incalcolabile vantaggio: vivevano in una realtà economica in crescita e, quindi, mascheravano abbondantemente, nella definizione dei possibili scenari, non solo gli errori ma potevano produrre provvedimenti di breve e medio periodo da cui non trasparivano danni leggibili in quanto il Prodotto Interno Lordo non cresceva annualmente dello 0,7, dello 0,8, dello 0,9 ma del 2,2, del 2,3, del 3,2. È inutile ricordare che la differenza tra lo 0,7 e 1,3 nella crescita del PIL è enorme. Non c’era o se c’era la sua presenza era ancora poco incisiva, mi riferisco alla struttura amministrativa della Unione Europea, e, quindi, per gli improvvisatori di quegli anni, tra crescita e assenza di controllori terzi delle loro scelte, era più facile gestire la cosa pubblica e apparire oggi portatori di una qualità “politica” e “gestionale” migliore. Proprio perché vivevano nella fase ascendente della “gaussiana” della crescita potevano anche permettersi il lusso di trasferire al futuro la soluzione dei problemi e delle emergenze del loro “presente”. Potrebbe sembrare, addirittura, che in tal modo io stia dichiarando che la loro gestione abbia lasciato alla attuale generazione le odierne negatività socio economiche; assolutamente no, desidero solo denunciare che nel momento in cui a scala mondiale si è passati dalla curva ascendente a quella discendente della crescita è apparso, in modo inequivocabile, la nostra caratteristica chiave, il nostro vero DNA di grandi improvvisatori.
Con queste mie considerazioni non intendo assolutamente annullare la difesa nostalgica di un passato ancora vicino, non voglio denigrare la qualità e l’impegno di chi in quegli anni ha cercato di far crescere il Paese, provo solo ad essere oggettivo e per questo motivo ritengo opportuno aggiungere una caratteristica che distingue, in modo sostanziale, gli improvvisatori del passato con gli attuali: i primi non erano arroganti e questo, forse, li rende migliori.