Recenti articoli, comparsi sulla stampa specializzata, hanno sottolineato come nel campo delle telecomunicazioni si stia pensando di applicare il modello industriale disegnato dal ruolo di RFI verso quello della holding di appartenenza a quello delle telecomunicazioni: creare un monopolio verticalmente integrato.
Lo sviluppo del 5g, la distribuzione dei servizi derivanti da quello sviluppo infrastrutturale anche nelle aree cosiddette a domanda bassa e debole per ottenere la massima copertura possibile del territorio italiano ed il conferimento della società Open Fiber in Telecom, come società verticalmente integrata, ha molto a che vedere con il modello Rete Ferroviaria Italiana nel momento in cui nel 2000 si procedette alla fusione per incorporazione della società Treno Alta Velocità.
Il nucleo vero di questa molla strategica è ancora una volta, oggi per Telecom e ieri per le Ferrovie dello Stato, la realizzazione di una grande infrastruttura: 20 anni fa una rete ad Alta velocità ferroviaria ed oggi una rete di 5g.
Entrambi gli investimenti hanno determinato quello che in economia industriale viene chiamato spostamento della frontiera di produzione, cioè un salto tecnologico tale da modificare drasticamente le capacità erogative dei servizi di vecchi monopoli naturali, in modo da far incrementare mediamente i livelli di produttività dei servizi erogati sulla rete anche del 120%, determinando anche l’erogazione di servizi impossibili, solo qualche anno prima, in aree caratterizzate da domande inesistenti.
Del resto i due mercati, quello del traffico sulla fibra ottica di dati e quello del traffico ferroviario rimangono molto simili: infrastrutture lineari e punti di erogazione dei servizi, fibre come linee ferroviarie e punti di smistamento come stazioni ed impianti; caratteristiche di monopolio naturale, con costi fissi per gli investimenti, quelli non recuperabili sostenuti dallo Stato e costi operativi sostenuti da pedaggi; capacità di separare i servizi a mercato da quelli non a mercato; sussidi dello Stato per riconoscere costi operativi di erogazione dei servizi in aree a bassa domanda, dove erogare servizi significa non recuperare neanche i costi operativi; capacità di entrambe le reti di generare economie di scala e produrre servizi con costi indivisibili e congiunti per prodotto.
Il 5g è oggi, per il mercato della telefonia e della trasmissione di dati, quello che 20 anni fa è stata la realizzazione della rete AV per il sistema ferroviario. Oggi come allora una grande infrastruttura permette di attuare una funzione ben specifica di benessere sociale, la sostenibilità industriale del sistema economico italiano nel suo complesso, l’ammodernamento dei servizi a disposizione di tutti, fattori che rendono meglio perseguibile il principio liberale dello sviluppo economico e quello costituzionale della coesione economica e territoriale.
Ma purtroppo, le similitudini finiscono qua, perché nonostante le caratteristiche strettamente industriali rendano equivalenti i due mercati delle infrastrutture e dei servizi, rendendo possibile oggi servizi che fino a ieri erano inimmaginabili, le regole fissate dalle autorità indipendenti, che per Rete Ferroviaria Italiana sono fissate dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti, sono non solo vecchie ma spesso sono dettate da un oggettivo vuoto di competenze e di potere del Ministero vigilante: il che crea una generale confusione degli obiettivi industriali del sistema Paese.
Forti di questa esperienza e per la serie “consigli non richiesti”, ci sentiremo di suggerire ad Open Fiber di:
- Stabilire che l’equilibrio economico del gestore dell’infrastruttura è sé stesso un bene di rilevanza pubblica: la politica economica ed industriale del Paese non dovrebbe passare attraverso le attività deliberatorie delle Autorità di controllo, ma le Autorità di controllo dovrebbero essere strumento di attuazione di una politica economica attiva e consapevole e da questa fortemente indipendente e non strumentale.
- Gerarchizzare e specializzare i ruoli delle Autorità oggi esistenti, rilasciando all’AGCOM, le competenze di regolazione di qualunque tipo e perimetro di mercato ed a quelle di settore il dettaglio delle regolazione del settore industriale specifico.
- Proporre una interpretazione nazionale dei principi di contabilità regolatoria fissati a livello europeo per stabilire, fin dall’inizio e con chiarezza, definizioni precise delle modalità di produzione e di rendicontazione della ricchezza prodotta dai gestori dell’infrastruttura con le dovute eccezioni nazionali, allo scopo di rispettare le modalità storiche che ogni singolo Paese europeo ha vissuto per capitalizzare gli investimenti pubblici ed individuare quali siano le componenti delle economie di scala del gestore dell’infrastruttura, tutelandone proprio la funzione di equilibrio economico. Se questo aspetto legittimo di controllo degli obiettivi pubblici di regolazione è confuso con controlli sull’efficienza del gestore dell’infrastruttura, allora la Politica industriale del Governo e del Parlamento protempore – e non quella delle autorità – deve farsi carico dell’efficacia delle proprie azioni.
- Stabilire che il profilo economico di una nuova struttura economica è figlia del contesto economico di riferimento registralo al momento della nascita. All’interno di quel contesto si generano e prendono corpo indicatori utili alle valutazioni di costi e di benefici per tutto il tempo necessario all’attuazione del complessivo piano degli investimenti.
- Strutturare piani industriali in funzione di tre fasi strettamente cardinali l’una rispetto all’altra e che prevedono una fase di programmazione, una di pianificazione ed una di attuazione, caratterizzata da una rendicontazione annuale, per eventuali correzioni, degli impatti dell’attuazione dei servizi derivanti dalle funzioni di programmazione e di pianificazione.
- Tenere separati gli obiettivi di politica economica stabiliti dalla Politica dai vincoli dell’attuazione e considerare i piani di investimento, quelli industriali e quelli commerciali come attuativi di quegli obiettivi e non dei vincoli
Questi banali principi di programmazione, sono in grado di adattarsi alle condizioni di contesto che possono cambiare nel corso degli anni di attuazione del piano industriale, e sarebbe utile rimandarli a memoria nel caso in cui le propagande politiche dimentichino le ragioni per le quali la Politica ha interpretato nel tempo le modalità di costruzione della ricchezza collettiva del Paese.
Leggete il Sole 24 ore di oggi, 30 gennaio: “Italia divisa in due: dove c’è la TAV il PIL cresce del 7-8%. E dire che oggi al governo sono in larga maggioranza NO-TAV (di oggi, di ieri e di avantieri)
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